Lo hanno chiamato “il raggio magico”: una cerchia ristretta di persone che il sindaco di Roma, Virginia Raggi, ha riunito intorno a sé sin dalla sua elezione a giugno scorso. Persone che, nel bene e nel male, l’hanno consigliata fino ai primi di dicembre, quando il “raggio magico” si è spezzato: prima le dimissioni dell’assessore all’Ambiente, Paola Muraro (indagata per reati ambientali), poi l’arresto di Raffaele Marra, capo del personale ed ex vice capo di gabinetto, accusato di corruzione.

Parlando di Marra, già dirigente comunale durante il mandato di Gianni Alemanno (2008-2013), il Gip, per giustificare il suo arresto, ha usato il termine “pericolosità sociale”, spiegando che sussiste “un concreto ed attuale pericolo di reiterazione di condotte delittuose analoghe a quelle già accertate e ciò anche in considerazione del ruolo attualmente svolto da Marra all’interno del Comune”. Insieme a Marra è stato arrestato anche il costruttore Sergio Scarpellini, il quale lo avrebbe aiutato, finanziariamente, nell’acquisto di una casa Enasarco (la cassa previdenziale degli agenti e dei rappresentanti di commercio) comprata nel 2013 e intestata alla moglie del dirigente capitolino. Marra avrebbe poi messo la sua funzione “a disposizione degli interessi di Scarpellini”, sostengono i pm citati dal quotidiano La Stampa.

Ex agente della Guardia di Finanza convertitosi alla politica, Marra ha svolto il ruolo di dirigente del Dipartimento Patrimonio e Casa del Comune di Roma durante il mandato di Alemanno, ma lo stesso ex sindaco lo ha allontanato dopo due anni perché non gradiva le sue “manie di protagonismo”. La parlamentare dei 5 stelle Roberta Lombardi lo ha definito un “virus che ha infettato il Movimento”, ma non è solo lui il responsabile della crisi politica ai vertici del Comune di Roma. Un altro personaggio controverso è infatti la Muraro, ex assessore all’Ambiente, indagata per presunte violazioni del testo unico ambientale.

Secondo le accuse, la Muraro sarebbe responsabile di aver “truccato” le autorizzazioni per gli impianti di smaltimento dei rifiuti e di inquinamento ambientale quando era consulente di Ama, l’azienda municipalizzata per la gestione dei rifiuti della Capitale. Manlio Cerroni, il re della spazzatura di Roma, anche lui indagato, secondo i pm, avrebbe beneficiato della permanenza di Muraro in Ama negli anni scorsi. Marra e la Muraro sono stati naturalmente espulsi dal “raggio magico” e con loro se ne sono andati il capo della segreteria, Salvatore Romeo, e il vicesindaco Daniele Frongia. “Al termine delle ultime due riunioni di maggioranza e dopo un confronto con il garante Beppe Grillo, abbiamo stabilito di dare un segno di cambiamento”, ha scritto la Raggi.

“Daniele Frongia ha deciso di rinunciare al ruolo di vicesindaco mantenendo le deleghe alle Politiche giovanili e allo Sport. Contestualmente Salvatore Romeo ha deciso di dimettersi dall’incarico di capo della Segreteria politica. Al contempo a breve avvieremo una nuova due diligence su tutti gli atti già varati”.

Il sindaco ora ha deciso di andare avanti, senza i suoi fedelissimi e in stretta collaborazione con i vertici pentastellati. Lo stesso Beppe Grillo ha preso più volte le distanze da tutta la vicenda del Comune di Roma e ha tentato anche di “commissariare” la Raggi, per poi decidere di darle comunque un’ultima chance. Da questo quadro a tinte fosche emergono però due domande ovvie: non potevano pensarci prima? E perché la Raggi, esponente di un partito politico che ha fondato la sua stessa esistenza sulla lotta alla corruzione e alla “Casta”, ha scelto come suo stretto collaboratore una figura come Marra?

Le spiegazioni possono essere tante: dalla scarsa esperienza del sindaco Raggi all’impossibilità di governare Roma senza l’appoggio dei “poteri forti” (rappresentati in qualche modo da Marra e dalla Muraro). Per il Movimento 5 Stelle, però, la vicenda Raggi rischia di trasformarsi in un boomerang: l’assenza di una struttura professionale all’interno del partito, che viene considerato uno dei punti di forza del Movimento, sembra infatti essersi tramutata in un punto di debolezza con cui ora i pentastellati dovranno confrontarsi.

A Roma, però, non sono i 5 Stelle il vero problema, o meglio: sembra che anche il partito di Beppe Grillo, il cui cavallo di battaglia è stato sempre l’estraneità ai “poteri forti” e ai ricatti della politica di bassa lega, non sia stato in grado nella Capitale di vincere sul malaffare, sugli intrighi di palazzo e sul peso delle lobby, che siano costruttori o “ras dei rifiuti”.

G.L. -ilmegafono.org