A sentire la gran parte dei commenti, nel post referendum, si ha l’impressione che il messaggio reale che ne deriva lo abbiano compreso davvero in pochi. In quello che resta del centrosinistra, spicca il Pd, affetto nuovamente dalla sindrome del “40%”, identica a quella già provata dopo le elezioni europee. Considerare quella cifra come un dato acquisito di legittimazione politica e di prossimo successo elettorale, significa costruirsi la trappola con tutta l’esca. Accadde già, come detto, alle europee, quando si diede un peso eccessivo a una elezione con meccanismi diversi e con un elevato tasso di astensione. Si ripete oggi ed è un pericoloso vizio di analfabetismo politico destinato a portare all’ennesimo schianto. Ma al premier uscente questo non interessa. Non arresta il suo spirito da kamikaze e, alla pazienza dei forti o all’autocritica degli umili, antepone la spocchia dei prepotenti e il sorriso acido dei vendicativi.

Il Pd è in guerra e questo è ormai noto. La resa dei conti prima o poi provocherà un’implosione e in tanti temono l’indebolimento irreversibile dell’unica forza di “sinistra” (le virgolette non sono casuali) che ha i numeri per governare e arginare la destra (che a dire il vero non sembra star meglio) e il Movimento 5 Stelle, con tutte le sue insopportabili contraddizioni e i deprimenti dilettantismi dei suoi leader. Ma fermiamoci un attimo alla parola “sinistra”. Perché questo assurdo referendum, pur nel suo caos, ha proposto alcuni spunti di riflessione che qualcuno ha consapevolmente evitato. Il Pd (o meglio la corrente renziana) ha perso, è vero, ma almeno ha giocato, eccome se lo ha fatto. Proprio per questo la sconfitta è stata fragorosa. Ma al di là del Pd, di cui stiamo parlando tutti, cosa si scorge? Il nulla.

C’è una fetta di sinistra, quella che certamente ha più diritto di definirsi di quest’area rispetto a Renzi e compagnia bella, che non conta più niente. Gioca e non ce ne accorgiamo. Sfila, talvolta urla e la sua voce non arriva a nessuno. Esulta e nessuno le riconosce un merito. Attenzione: non ci si riferisce all’associazionismo o enti non partitici. Qui parliamo di chi è già in agonia da tempo e respira solo quando può usufruire di un errore altrui: sono i partiti di area massimalista, sempre più poveri, costretti a continui tentativi di unità che naufragano il giorno dopo per gelosie, vecchie ruggini, verticismi che sono il ricordo triste e grigio del peggiore abito di una gloriosa gioventù.

Il popolo che ha sostenuto il No ha visto, pubblicamente, troppe facce stanche e poche voci autorevoli. E se è stato encomiabile l’impegno di tante persone nelle strade, nelle piazze, nelle stanze dei comitati, a organizzare e volantinare, se è stato altrettanto eroico lo sforzo dell’Anpi, dei movimenti, di alcuni intellettuali, il giorno dopo una gioia meritata ci si è però ritrovati nuovamente da soli, con quell’amara frustrazione di non trovare più sponde, riferimenti politici in cui incanalare un’idea di mondo che sopravvive e si rinnova senza mai svendersi. La sinistra, quella vera, che non vuole accanto a sé aggettivi sterili, che non è imprigionata dentro recinti ammuffiti o dentro scatole dai colori ibridi, è morente. O forse, in un certo senso, è morta. Almeno partiticamente. Politicamente.

Eppure, per il resto, è viva, è humus culturale e sociale sparso nelle periferie dell’impero. Ai margini, spesso lontana dalle sezioni e dai circoli, ma viva. Esistente. E soffre, perché sente le note di un requiem risuonare dall’alto. Quella sinistra fatta di cittadini, intellettuali, giovani, lavoratori, disoccupati, precari, ambientalisti ha sentito troppe volte utilizzare questa parola nobile indebitamente, ha sentito accostamenti indecenti con il Pd e con la sua classe dirigente, ha visto compiere, in suo nome, scempi economici e sociali, ha visto celebrare funerali su idee, temi, valori, diritti che non solo sono ancora pulsanti, ma valgono ancor di più oggi, nel mondo della globalizzazione delle disuguaglianze, della solitudine degli ultimi e del silenzio dei giusti.

Quella gente ha anche visto quella parola nobile finire dentro i soliti schemi di metodo e di pensiero, antichi, caduchi, sempre più vuoti e rarefatti, rinchiusi in anacronismi scuri e in compartimenti privi di ossigeno e di aperture. In suddivisioni del mondo e della società ormai logori e perfino fuorvianti. Sì, perché la sinistra soffre anche per i colpi inferti da slogan e metodi che puzzano di folklore scaduto, da rigidità violente che continuano ad allontanare ed emarginare chi prova a inserire elementi di critica, a suggerire forme e linguaggi nuovi, letture differenti. Troppo spesso si dimentica che l’attualità di una questione passata andrebbe affrontata comunque al presente, con i mezzi e le forme del presente, senza ripetizioni che mettono in mostra la pochezza di un mondo sempre più povero di voci e teste capaci di non uniformarsi, di mantenere dritto il timone del libero pensiero, di indicare la direzione guardando avanti.

Ecco allora perché la sinistra perde da entrambi i lati. E pur essendone consapevole, continua a fasciarsi gli occhi e ad approntare ricette che nascono già rancide. Le soluzioni adottate per riemergere da ogni sconfitta sono sempre state le stesse. Individuare un nemico più potente e combatterlo cercando di mettere insieme tutte le poche forze rimaste fuori dal recinto occupato da quel nemico o da un ex amico. Miscugli elettorali che hanno predisposto programmi sempre uguali, pieni di sogni e mai di azioni concrete per realizzarli. Miscugli che hanno raccolto le briciole di un voto, per poi dividersi e contare ancor meno e trovarsi fuori da tutto. In qualche caso, invece, si è scelta l’alleanza con i più forti, l’appoggio politico ma con l’abitudine alla critica e all’attacco, da scagliare comodamente seduti sul morbido velluto di una poltrona. Anche in quel caso il risultato è stato quello di raccogliere qualche briciola in più per poi finire nell’abisso dell’inconsistenza.

E adesso? Stesso modus operandi. Si gongola per la caduta del pezzo grosso e si spera di racimolare forze per riprovare ad esserci, lì, su quegli scranni agognati. Così si smetterà prima o poi di agonizzare. E si morirà davvero. Si lascerà il terreno a coloro i quali si sono appropriati di qualcosa che hanno pian piano smantellato. Si continuerà a costringere il popolo a convincersi che il Pd sia l’unica alternativa. Si continuerà a considerarlo ancora una forza di “sinistra”, almeno per tradizione (pur non essendo più così). Si continuerà a lasciare molti ex elettori di sinistra, e ne ho incontrati tanti, dentro il movimento 5 stelle, disposti a sopportare, non senza imbarazzo, le sparate di Grillo e dei suoi dilettanteschi leader, e a turarsi il naso dinnanzi alla consistente fetta di destrorsi e qualunquisti che lo popolano.

Elettori, ex attivisti, gente che accorrerebbe in massa, se ci fosse una vera forza di sinistra, moderna, che abbia una ispirazione nuova, con la memoria di quei valori ancora pienamente vivi, romantica ma anche capace di comprendere i nuovi assetti di un mondo che è cambiato e che va riletto secondo schemi attuali. Allora, basta con giochetti e duelli, con la mania del consenso e del potere. Basta con la fretta e le scorciatoie e i personaggi da museo (culturale non anagrafico, sia chiaro). Si ritorni a parlare, nei circoli, nelle città, nelle case, nei quartieri. Non virtualmente, ma guardandosi negli occhi. Si creino continue occasioni di dibattito, quotidiane, settimanali, sui temi attuali, sulle questioni globali.

Si dia spazio nuovamente alla cultura, al commento, all’educazione, al confronto e alla sintesi, in una sola parola alla “scuola”. E lo si faccia tutti insieme: intellettuali e popolo. Senza pensare al giorno dopo, ma lavorando per la società che verrà. E se non saremo noi a goderci i frutti politici di un vero cambiamento, non importa. Saranno i nostri figli o i nostri nipoti. Saremo comunque felici di aver fatto il nostro dovere e di aver lasciato un mondo migliore di quello che abbiamo ricevuto e stiamo rischiando di peggiorare. E magari le note di questo lugubre requiem smetteranno di risuonare.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org