Finalmente siamo arrivati al capolinea di una orribile campagna referendaria. Dal 5 dicembre, comunque vada, istituzioni e mass media dovranno necessariamente tornare ad occuparsi dei reali problemi del Paese, che c’entrano più con la volontà politica che con la Costituzione. Sia chiara una premessa: ciascuno voti come meglio crede, purché lo faccia, da entrambe le parti, con piena consapevolezza e non per rispondere a un interesse di parte o per assecondare il volere di un leader. Né per appoggiare o far cadere un governo. La politicizzazione del referendum, impressa da Renzi, si è rivelata un errore grave, perché ha legato un voto popolare sulla forma dello Stato, ossia sui principi fondanti della Repubblica (che varranno per chiunque in futuro), alla permanenza del governo. Qualcosa che stona parecchio con i richiami alla stabilità ai quali il fronte del Sì ha più volte fatto appello per convincere gli elettori.

Al di là di quello che si è detto e delle tante personalità che sono intervenute per esprimersi sul voto, resta il segno di una disarmante diseducazione al dibattito su un tema così importante. L’Italia non riesce a uscire dal clima da tifoseria e non ci saranno riforme capaci di cambiare questo virus culturale. C’è stato chi, da una parte, ha parlato di “serial killer”, di fascismo (spesso dal pulpito sbagliato), di illegittimità del governo; dall’altra, c’è stato chi invece ha parlato di ignoranza, repulsione al cambiamento (come se il cambiamento fosse comunque qualcosa da sostenere, indipendentemente dalla sua qualità), di accozzaglia, nemici del nostro futuro, colpevoli della minacciata instabilità.

I toni sono stati violenti, si è creata una frenesia isterica ad ogni livello. E un inaccettabile clima da ultima spiaggia. I social, dove chiunque riesca a digitare qualche lettera su una tastiera si crede capace di poter parlare di tutto, si sono popolati di tifosi, molti dei quali specializzati in slogan, senza la minima conoscenza della materia, senza aver mai sfiorato il testo della riforma, ma riportando semplicemente i commenti di parte. In questo modo, dalle file del Sì e del No abbiamo ascoltato distorsioni tragicomiche delle questioni e dei punti più controversi. Ma forse quelli del Sì hanno esagerato, forse anche perché hanno avuto più spazio. Il problema è che, purtroppo, le bugie creano ugualmente opinione, soprattutto tra i creduloni e gli ingenui.

Se non fosse in gioco un tema serio come una riforma costituzionale così corposa, ci sarebbe da ridere nel sentire o leggere certi discorsi. Ci sono gli spudorati, quelli che dicono di votare No solo perché Renzi gli è antipatico e Sì solo perché gli è simpatico; gli adrenalinici, che vivono su una nuvola e candidamente affermano di votare Sì, anche se la riforma non la approvano per niente, solo per vedere se cambia qualcosa o per provare il brivido del cambiamento; gli alchimisti, quelli che, probabilmente in preda a qualche visione mistica, mischiano cose che non c’entrano nulla, come ad esempio la morte di Castro e il giudizio storico complessivo su una parte di storia del mondo, con il voto referendario italiano (“applaudite Castro e poi votate No per paura di derive autoritarie”).

Poi ci sono gli altri, gli audaci, più o meno simili, più o meno scontati, che dicono di essersi informati ed esprimono le proprie opinioni tecniche. Tra loro c’è chi inneggia al monocameralismo puro, dimenticando che la riforma non lo realizza, lasciando un Senato non direttamente elettivo ma ugualmente costoso che non riduce particolarmente i costi della politica. C’è, dall’altra parte, chi definisce illegittimo il governo, sbagliando perché esso è stato legittimamente nominato e ha poi ottenuto la fiducia del parlamento, quindi formalmente in regola, anche se la legge elettorale che ha eletto le camere è stata successivamente dichiarata incostituzionale.

C’è chi afferma che l’Italicum non c’entri con la riforma, fingendo di non sapere che la legge elettorale, come si è visto nel recente passato, è decisiva nel garantire il rispetto dei valori intangibili della Costituzione.

C’è infine chi addossa alla Costituzione tutti i problemi che con essa non c’entrano: non solo la corruzione, la criminalità diffusa, la disoccupazione, la precarietà, ma anche questioni più tecniche legate alle leggi e alla lentezza del processo legislativo. Una leggenda se si considera che l’Italia produce tantissime leggi e, nella gran parte dei casi, in tempi più rapidi rispetto ad altri paesi europei. Il problema al massimo è la poca volontà nell’applicarle ed è qualcosa di cui colpevole non è certo la Carta.

Insomma, in questa lunga campagna c’è stato un po’ di tutto. Nervosismo, scontri, litigi e offese sul web, minacce, ipotesi di querele. Tutto per un voto che semplicemente dovrebbe esprimere l’idea personale e consapevole dello Stato e del suo sviluppo. Senza inquinamenti di partito, strategie di schieramento o patologica fedeltà ai propri leader di riferimento.

Qualche ottimista sostiene che questa volontà di dibattere sia un effetto positivo. Lo sarebbe, forse, se il dibattito si mantenesse su binari logici ed equilibrati, senza questo clima da ultima chiamata o da ultima spiaggia, come se non ci fosse un domani. Come se questa fosse l’unica possibilità di riforma nella storia italiana. Come se al di fuori di Renzi non vi fosse un futuro. Allora c’è poco da essere ottimisti. Perché dal 5 dicembre, comunque vada, assisteremo a esultanze idiote, a rese dei conti, all’arroganza delle tifoserie, come se in palio ci fosse la vittoria di qualcuno e non il futuro del Paese.

Personalmente voterò No, consapevolmente, perché ritengo questa riforma sbagliata nel merito, rischiosa, ambigua e inutile. Lo faccio senza criminalizzazioni di chi voterà Sì, ma non rispetterò coloro i quali questa riforma (sarebbe meglio dire revisione) l’hanno promossa. Loro non sono mai entrati nel merito, hanno occupato tutti gli spazi con slogan “commerciali” e con un dispendio di soldi che è assurdo, visto anche che si dicono promotori del risparmio. Detto ciò, non esulterò sguaiatamente in caso di vittoria del No, ma tirerò un sospiro di sollievo e stringerò il pugno per un rischio evitato. 

Dopodiché, mi aspetto che il governo non si dimetta, ma cambi direzione ascoltando anche il popolo e aprendosi alle forze sociali, affrontando i problemi urgenti che non possono risolversi con qualche bonus furbescamente accordato qua e là con tempismo pre-elettorale (brutto vizio italiano) e che predisponga una legge elettorale seria, corretta e democratica, che è quel che davvero serve a questo Paese che da anni, per responsabilità non costituzionali, vive un gravissimo difetto di rappresentanza. Buon voto e che sia un voto libero. Davvero. 

Massimiliano Perna –ilmegafono.org