La crisi ed il mal funzionamento di buona parte dei comuni italiani balzano continuamente all’occhio di tutti noi cittadini; basta camminare per la propria città e ritrovarsi sommersi dai rifiuti o dover usufruire della sanità pubblica ed imbattersi spesso in lunghissimi tempi di attesa o, ancora, iscrivere i propri figli a scuola e scoprire che, oltre a zainetto e merendina, sarà necessario fornire anche carta igienica e altri prodotti basilari di cui la scuola non è sufficientemente munita. È lecito chiedersi a cosa sia riconducibile una situazione così deplorevole e una risposta, seppur parziale, arriva dalle notizie di cronaca interna. Sono sempre più numerosi, infatti, i comuni italiani sciolti per infiltrazione mafiosa.

Solo negli ultimi mesi questo provvedimento ha riguardato i comuni di Palazzo Adriano e Corleone (in provincia di Palermo) e di Rizziconi (in provincia di Reggio Calabria). Attualmente in Italia sono 171 i comuni commissariati per mafia. Non tutti, è sempre bene sottolinearlo, al Sud. In questo lungo elenco della vergogna non figura il comune di Catania, nonostante, negli ultimi mesi, il consiglio comunale sia stato nell’occhio del ciclone per presunti legami di alcuni consiglieri (anche circoscrizionali) con la malavita organizzata. Sembrerebbero essere infatti ben 5 i politici catanesi imparentati con soggetti interessati da indagini e inchieste: i consiglieri comunali Erika Marco, Riccardo Pellegrino e Francesca Raciti (presidente in seno al consiglio) e i due consiglieri circoscrizionali Lorenzo Leone e Mario Tomasello.

Una situazione che ha causato, lo scorso 11 ottobre, la convocazione del prefetto etneo, Maria Guia Federico, presso la Commissione nazionale antimafia. «Abbiamo fatto – ha dichiarato il prefetto nel corso dell’audizione dal clima piuttosto teso e in parte secretata- uno screening su tutti i consiglieri comunali e di circoscrizione e i loro parenti fino al terzo grado. Non è emerso nessun fatto e circostanza nuova rispetto al periodo del voto. Era tutto già così al momento della loro elezione». La Federico ha fatto presente che, a suo giudizio, nonostante la sussistenza di queste parentele “scomode”, “non sussistono le condizioni per un accesso al Comune” anche perchè nessuno dei consiglieri “incriminati” fa parte della giunta cittadina.

Un convincimento che però non ha soddisfatto buona parte dei membri della Commissione antimafia, tra cui la stessa presidente Rosy Bindi, che hanno invece espresso il proprio desiderio che venga attivata la procedura per l’invio degli ispettori ministeriali a Catania, così da verificare il condizionamento o meno dell’attività amministrativa cittadina da parte della malavita organizzata. “La valuterò – è stata la risposta del prefetto – limitatamente alla circoscrizione comunale di Librino, visto che è una richiesta che mi è stata rivolta esplicitamente dalla presidente Bindi”. 

Che l’accesso al Comune avvenga o meno è inevitabile che ci si chieda se il cattivo funzionamento cittadino etneo sia, anche solo in minima parte, causato dalle ripercussioni che certi legami tra malavita ed attività  di alcuni consiglieri possono causare. In attesa che gli organi preposti facciano chiarezza e, possibilmente in fretta, prendano le opportune contromisure, è giunto il momento che anche i singoli cittadini facciano la loro parte, smettendola di lamentarsi in maniera sterile di quello che non va ma prendendo piuttosto le giuste decisioni, liberamente, dentro la cabina elettorale.

Anna Serrapelle- ilmegafono.org