Solo poche settimane fa raccontavamo entusiasti ed ammirati (vedi articolo) della grande lezione di coraggio impartita dagli immigrati di Ballarò (rione di Palermo) che, facendo gruppo, avevano deciso di ribellarsi al giogo della violenza e dell’estorsione denunciando i propri aguzzini. A distanza di meno di un mese, però, gli sviluppi della situazione cambiano decisamente lo scenario e gli umori. Quasi tutti gli indagati arrestati in seguito all’operazione “Maqueda” sono stati infatti rilasciati, lo scorso 13 giugno, per decisione del Tribunale del riesame di Palermo che ha accolto le istanze di scarcerazione presentate dai vari avvocati difensori, basate sul difetto delle motivazioni. Secondo i legali e i giudici del riesame, l’ordinanza che stabiliva i provvedimenti cautelari per gli indagati non era sufficientemente articolata nelle singole contestazioni.

Prescindendo dalle considerazioni legali della vicenda e dalle motivazioni, che saranno ovviamente concrete se hanno indotto il Tribunale ad annullare ben 7 provvedimenti di misura cautelare per reati piuttosto gravi, resta comunque impossibile non soffermarsi sulle ripercussioni che tale decisione avrà nella vita dei denuncianti. Terrorizzati, vessati e ripetutamente minacciati dai propri aguzzini avevano trovato la forza di denunciare, sperando così di porre un freno alla spirale di violenza che, i recenti fatti di cronaca lo dimostrano, ha travolto la zona di Ballarò.

Avevano denunciato per non dover cambiare le abitudini di vita proprie e della propria famiglia (“Stai attento, perché sei già sotto osservazione”, “…escono da casa ogni mattina alle otto, stai attento che li conosco”: sono solo alcune delle minacce che si possono leggere nei verbali di accusa) ed invece la situazione è inevitabilmente peggiorata: adesso rischiano di imbattersi in coloro che hanno mandato, per poco, in galera. Se prima “anche per uno sguardo di troppo si finiva male”, adesso è lecito aspettarsi che il clima, nell’antico rione palermitano, non sia proprio dei più miti. Aspettativa supportata tra l’altro dalle considerazioni sia della Procura che del Gip che, al momento degli arresti, parlavano di reati gravi e del concreto rischio di una loro reiterazione.

“I commercianti – aveva dichiarato, all’indomani del blitz del 23 maggio, MD Alamin, consigliere della Consulta delle culture – hanno fatto la loro parte, adesso è necessario che siano tutelati. Le forze dell’ordine non devono lasciarli soli. Chiedo che venga mantenuta alta la sorveglianza. Hanno bisogno del sostegno di tutti, soprattutto della cittadinanza”. Parole che, dopo la sentenza del Riesame, acquistano una valenza quasi profetica.

È opportuno che tutti ci soffermiamo un attimo a riflettere su come vanno le cose nel nostro Paese. Ci si aspetta sempre che tutti (o molto meglio gli altri) “facciano la cosa giusta”, si invita sempre la cittadinanza a denunciare ma, troppo spesso, chi ha il coraggio di servire la legge, trovando la forza di parlare, si imbatte poi in un muro di burocrazia e cavilli giuridici che, seppur legittimi, finiscono, in taluni casi, con il nuocere a persone oneste e coraggiose; persone che sperano, facendo la cosa giusta, di poter cambiare le cose, un passo alla volta.

Adesso sull’intera vicenda è calato il solito silenzio-vergogna. Tra i pochi ad affrontare l’argomento, il senatore Francesco Campanella che, in un post sul proprio profilo facebook, ha parlato di “una sconfitta per tutti noi” ed ha auspicato che “lo Stato si faccia carico di una protezione effettiva nei confronti dei commercianti coraggio”. “Noi immigrati siamo popolazioni a bassissimo tasso di omertà”, aveva dichiarato il presidente della Consulta delle culture, Adham Darawsha, dopo gli arresti degli estorsori. Il rischio, a questo punto, è che, fallita la loro lezione di coraggio, siamo noi, con le nostre ingiustizie, a indottrinarli sui concetti di rassegnazione e omertà. Il fresco profumo di libertà non è mai stato così lontano.

Anna Serrapelle- ilmegafono.org