Per quattro mesi, Salah Abdeslam, l’uomo che ha attraversato gli incubi dei francesi e che quasi tutti credevano lontano, probabilmente in Siria a recuperare o consolidare il proprio rapporto con l’IS, si è nascosto nel cuore dell’Europa. A Bruxelles, nella sua città. Protetto e impunito. Quattro lunghi mesi: un’eternità se pensiamo a chi ogni giorno ci parla di allerta massima, di sicurezza a rischio, ma al contempo di attività di intelligence, prevenzione, controllo, repressione. L’uomo più ricercato dalle forze di sicurezza internazionali era proprio sotto il loro naso e ci sono voluti mesi e la decisiva soffiata di un cittadino per riuscire a catturarlo. Per una curiosa coincidenza, proprio mentre la polizia, tra le strade di Bruxelles, metteva in atto una lunga operazione antiterrorismo e, alla fine, arrestava il criminale (di nascita belga ma di nazionalità francese) protagonista degli attentati del 13 novembre a Parigi, i 28 leader europei, riuniti nella capitale belga, trovavano un accordo con la Turchia sulla gestione dei profughi che giungono attraverso la frontiera marittima greca.

L’Europa fragile, quella incapace di fermare Salah, che la notte della strage aveva superato indenne tre posti di blocco e che per 127 giorni è rimasto indisturbato all’ombra dei palazzi del potere europeo, non smette di mostrare il pugno duro nei confronti di masse di disperati in fuga da quello stesso orrore, che non rappresentano alcun pericolo per la sicurezza e che andrebbero semplicemente accolti e trattati nel pieno rispetto della loro dignità. L’accordo partorito con la Turchia di Davutoğlu e Erdogan è il certificato di morte dei principi umanitari che furono tra le basi fondamentali del progetto di nascita del grande sogno unitario europeo. Di quei principi non restano nemmeno tracce sbiadite, neanche dei frammenti da ricomporre partendo dalle singole carte costituzionali dei paesi membri più moderni e con strutture democratiche più mature.

Hanno prevalso, ancora una volta, l’egoismo e la chiusura. Con l’accorgimento di “aggiustare” formalmente l’accordo in modo da non violare apertamente la Convenzione di Ginevra e le leggi internazionali, soprattutto per quel che riguarda i respingimenti collettivi e l’espulsione dei profughi in un paese terzo non “sicuro”. I respingimenti, quindi, saranno individuali, ma resta il fatto che decine di migliaia di persone saranno rispedite in Turchia, la quale riceverà per il “disturbo” tre miliardi di euro, più un massimo di altri tre miliardi entro il 2018, oltre alla liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi e alla ripresa della questione dell’adesione della Turchia all’UE. I migranti in Grecia saranno registrati tutti e le richieste di asilo verranno esaminate dalle autorità greche. Chi non vuole essere registrato e chi si vedrà respingere la domanda di asilo verrà rimandato in Turchia.

Potremmo azzardare che buona parte dei profughi non vorrebbe essere registrato o fare domanda di asilo in Grecia, perché l’obiettivo di quei pochi che sono riusciti ad arrivare alle porte d’Europa è quello di raggiungere paesi dell’Europa settentrionale (Svezia, Germania, Danimarca, Norvegia, ecc.), realtà più ricche e con più lavoro, dove spesso si trovano già parenti o amici. Inoltre, le domande di asilo lasciate all’esame delle sole autorità greche, che non hanno i mezzi per gestirle al meglio, come accade anche in altre affollate frontiere europee, esterne e interne, richiederanno tempi lunghissimi, attese infinite, ingiustizie inaccettabili. A tutto ciò si aggiunga il meccanismo assurdo dello scambio tra siriani: per ogni siriano rimandato indietro dalla Grecia, un siriano presente nei campi profughi turchi verrà mandato in Europa attraverso un canale umanitario. Saranno 18mila le persone accolte secondo questo sistema umanitario. E la cosa riguarda solo i siriani, mentre si ignorano del tutto afgani, iracheni e altre popolazioni in fuga da violenza e terrore.

In totale, comunque, con questo accordo l’Europa accetterà di accogliere 72000 persone. Un numero terribilmente minuscolo, se si pensa che l’Europa ha una popolazione di 507 milioni di abitanti. Insomma, si è scelta la via della chiusura, mascherandola ufficialmente come un accordo di gestione che prevede anche degli accessi o un presunto piano di ricollocamento. Si è messa, inoltre, dolosamente in secondo piano la fisionomia politica della Turchia, una nazione in regresso culturale e democratico, dove si registrano restrizioni delle libertà, tensioni, illegalità e violazioni dei diritti umani. Uno Stato inadatto ad accogliere e tutelare chi scappa dalle guerre. Soprattutto se i fuggiaschi sono di etnia curda (e non sono pochi).

L’Europa ha firmato un patto disumano, mostrando ancora una volta la sua faccia più egoista, crudele, che privilegia interessi economici e geopolitici a scapito dei diritti umani e delle speranze di salvezza di centinaia di migliaia di persone. Uomini, donne e bambini, persone che, a causa del virus xenofobo e reazionario che ha pervaso la politica degli stati europei, da tempo vengono addirittura considerate minaccia, pericolo e pertanto gestite con crudeltà, attraverso l’uso della forza, dei poliziotti, dei manganelli e dei lacrimogeni. Un accanimento feroce contro gli innocenti, contro famiglie (e bambini) in fuga verso una speranza.

Un pugno durissimo contro l’umanità più pacifica, proprio mentre nel cuore dell’Europa si lasciava che i terroristi, quelli veri, quelli nati e cresciuti nel nostro continente, quelli che il terrore lo hanno compiuto davvero, se ne restassero tranquilli per mesi a frequentare gli stessi luoghi di sempre. Questa è l’Europa ipocrita e gretta, l’Europa della non cittadinanza, l’Europa dei bulli e dei branchi politici che azzannano gli innocenti. Questa è l’Europa di cui bisognerebbe davvero vergognarsi di esser cittadini.

Massimiliano Perna –il megafono.org