Era il 1971 quando lo scrittore uruguaiano, Eduardo Galeano, aveva appena scritto “Le vene aperte dell’America Latina”, un saggio che percorre la storia e la condizione economico-sociale di un intero continente. Il testo, scritto quando Galeano era giovane, mostra nella sua interezza un continente che allora ballava tra una speranza concreta per il futuro e una povertà assordante. Da allora sono passati quasi 45 anni, e se anche in questi 45 anni il mondo intero ha subito variazioni di ogni genere, dalla tecnologia, alla politica, passando per tutti gli aspetti della società, da allora, quelle speranze concrete sembrano essere sfumate, volate via. Il continente, che conta circa 390 milioni di abitanti, è in questo momento storico uno dei più tribolati in termini politici e sociali.

Dopo secoli di dominazione spagnola, all’inizio del diciannovesimo secolo la maggior parte degli attuali stati latino-americani conquistarono arduamente l’indipendenza politica, per poi passare attraverso un corridoio storico che finalmente li portò alla democrazia. L’America del Sud è politicamente famosa per le sue recenti dittature militari e per le sue corrispettive lotte di liberazione. Chi non conosce Ernesto Guevara, Salvador Allende o Raul Ricardo Alfonsìn, il politico argentino che fece processare i membri del regime militare? Terminato il periodo delle dittature e iniziato quello della democrazia, del continente non si è sentito più parlare come prima. Anzi, spesso, voci che molti paesi latini siano dei futuri paradisi economici sono sempre più forti sui grandi quotidiani di finanza.

Verso la fine degli anni ottanta, anche il Sud America venne coinvolto nell’espansione che il grande camaleonte del capitalismo occidentale stava effettuando. Il neocolonialismo, già presente per tutto il dopo guerra, negli anni Novanta divenne filosofia imperante in molti paesi di lingua spagnola. Questo fu possibile, prima per via delle dittature, dopo, grazie a governi iperliberali, spesso manovrati dall’occidente a causa di democrazie deboli, che hanno spianato una larga strada a investitori dell’emisfero nord, a discapito dei diritti civili acquisiti negli anni di lotta contro i regimi.

Attualmente alcuni paesi, come il Brasile, sono riusciti addirittura a speculare su questo neocolonialismo, candidandosi ad essere tra i paesi del futuro, quelli che qualche anno fa erano chiamati BRIC, ora ridotti a BIC (Brasile, India e Cina) per via della cattiva considerazione politica della Russia di Putin. Proprio donne come Dilma Rousseff stanno cercando in tutti modi di innalzare il loro paese a simbolo di crescita e progresso, tramite i mondiali di calcio, tramite le olimpiadi. Ma troppo spesso le telecamere delle nostre televisioni non mostrano quel che si trova nelle periferie o le proteste degli studenti che terminano in un bagno di sangue.

Democrazie deboli e sistemi sociali poco efficaci. Molti paesi latino-americani hanno coperture sociali per i poveri, si tratta di veri e propri sussidi statali erogati alle persone poco abbienti. Lula in Brasile, ma anche Chavez in Venezuela, hanno spesso preferito pagare i poveri e poverissimi al posto di istruirli e renderli indipendenti. Misure tanto declamate in Europa quanto disprezzate tra i popoli beneficiari. La metafora del pescare per qualcuno anziché insegnargli a pescare resta veritiera e i risultati si sono visti. Queste misure hanno attualmente solo evitato insurrezioni popolari, hanno sedato la rabbia che proviene dalla fame e dalla sofferenza, ma non sono riuscite a emancipare il popolo da una condizione di sottomissione sociale ai poteri forti o a regalare sanità e istruzione per tutti.

La corruzione è a livelli inauditi, lo stesso CPI (Corruption Perception Index) non vede un paese del Sud America nei primi 20 posti. Narcotraffico, politica e polizia spesso creano un triangolo che mette a dura prova chi vive d’onestà in questi paesi. Si muore spesso, e i bambini sicari a 5 dollari in Colombia lo confermano. La violenza sulle donne e sui minori, lo sfruttamento del lavoro minorile, la completa assenza di diritti hanno fatto sì che questi stati, tranne poche eccezioni contestualizzabili, non hanno avuto la degna ricompensa per essersi liberati dalle dittature dei decenni precedenti. È impossibile negare che, dal 1945 ad oggi, qualsivoglia disastro politico, dal colpo di Stato alle democrazie turboliberiste, non sia anche responsabilità dei governi occidentali, tra i quali spiccano gli USA.

Fu lo stesso Reagan che inviò l’economista padre del liberismo, Friedman, come consigliere economico personale di Pinochet, l’uomo che fece uccidere Allende, un martire della libertà e del socialismo. Non è difficile comprendere perchè i grandi newspapers economici li vedono come dei luoghi in cui investire: l’assenza di diritti umani è sempre stata una corsia preferenziale per industrie di ogni genere. Basta pensare al modello cinese.

Galeano, nel 1971, parlava di vene aperte perché allora, tra terrorismo, dittature e altro, il continente sanguinava, schizzava, poi le democrazie soggiogate dagli interessi di New York, Berlino, spesso anche Roma, Tokyo e tante altre city, le hanno prosciugate. All’inizio del secolo globale non resta che sperare che le esperienze positive del mondo occidentale possano contaminare anche il latino america, sperando che ora, in questo secolo di confusione e assenza di fari politici, una nuova unione mondiale possa realizzarsi.

È il continente dei miti, della bellezza, dove ci si saluta tra sconosciuti, si sorride e ci si abbraccia anche solo al termine di una giornata di lavoro. Che possa essere il continente di Mujica e Correa, che rifiuta un debito denominato immorale. Che nelle vene di questo continente possa tornare a scorrere il sangue vivo e lucente. Che possa essere il continente dell’utopia. “L’utopia è come l’orizzonte: cammino due passi, e si allontana di due passi. Cammino dieci passi, e si allontana di dieci passi. L’orizzonte è irraggiungibile. E allora, a cosa serve l’utopia? A questo: serve per continuare a camminare”. Questo pensiero è di Fernando Birri, regista argentino considerato il padre del nuovo cinema latino-americano e non di Eduardo Galeano, che la cita solo nel suo testo “Le vene aperte dell’America Latina” e che ne ha sempre smentito la paternità.

Italo Angelo Petrone -ilmegafono.org