Guardando negli occhi questo Paese, camminando per strada, osservando, parlando, leggendo, ascoltando le parole, i dibattiti, le diatribe varie ci si rende conto davvero della profonda distanza esistente tra la vita della gente e il “piano superiore”. Un piano non unicamente politico, ma abitato anzi da una moltitudine di inquilini accomunati da quel senso di distacco e di irridente strafottenza che poi si riflette nelle dichiarazioni, nelle scelte e nelle azioni di chi gestisce le leve di comando, oltre che nelle amplificazioni che un esercito di narratori mediatici offre alla pubblica opinione. C’è un livello di Italia che appare disarmante nella sua dimensione volutamente elitaria, nella fisionomia triste di una élite banalmente volgare, priva di visioni illuminate, di connotazioni intellettuali. Un piano superiore che trova, nel potere e nell’allevamento di un ingordo spirito lobbistico, la sua unica ragione di esistenza, il suo collante a presa rapida.

Tra questo piano e la vita comune c’è una frattura, un vuoto nel quale si infilano diritti negati, umiliazioni, diramazioni di un’arroganza che non risparmia niente e nessuno, non rispetta nemmeno il dolore, la rabbia, le angosce quotidiane di chi è costretto a lottare, a vivere tra le difficoltà, facendo affidamento sull’umanità e sulla solidarietà.  Il caso delle unioni civili è solo uno dei tanti, il quadro di un Paese che lì in alto gioca una partita lontana dalle esigenze reali di chi sta in basso, fuori dai palazzi, ma ben dentro le mura di situazioni reali che non trovano legittimazione né riconoscimento.

La grettezza omofoba di chi, per un braccio di ferro di poteri, per un orgasmo da sondaggi, rende monco un testo che, approvato per intero, ci avrebbe fatto fare un salto in avanti ancora più lungo, è una delle macchie di unto che cola dai piani alti e gocciola sulle teste dei cittadini e soprattutto di quei bambini e minori che si trovano ancora privi di quella tutela certa che un semplice sì all’intero testo avrebbe fatto diventare realtà in brevissimo tempo.  Ovviamente, la macchina della comunicazione sta già cercando di convincere tutti che per le adozioni si farà un ddl a parte entro la fine della legislatura, che il testo è già pronto, così tanto per rinviare la questione e sperare nell’oblio.

Il punto è proprio questo: non soltanto vengono calpestati i diritti e sacrificati a interessi lontani dai valori di una società umana, ma si cerca pure di far passare la menzogna per verità. E di renderla convincente per screditare chi reagisce, chi prova a urlare che il Re è nudo, fregandosene di appartenenze o giochi di parte.

L’arroganza di chi vive al piano di sopra è illimitata. Lo dimostra, ad esempio, un fine protagonista della storia recente italiana, quel Guido Bertolaso finito dentro a più inchieste, colui che aveva il compito di proteggere i cittadini e che quel compito lo ha visto fallire dinnanzi alle macerie e ai morti di L’Aquila, emblema della sua parabola declinante alla guida della Protezione Civile. Un uomo iscritto nel registro degli indagati per omicidio colposo sul caso del sisma in Abruzzo.

Un uomo che un anno dopo il terremoto parlò di ricostruzione avvenuta, mentre decine di migliaia di sfollati erano ancora fuori dalle loro case o da nuove abitazioni. Bertolaso, oggi, come premio, si ritrova candidato a sindaco di Roma. Colui che si è trovato imputato (nell’inchiesta sul G8 alla Maddalena) insieme agli imprenditori che ridevano mentre L’Aquila crollava, felici per i possibili affari legati alla ricostruzione, oggi dichiara che Roma è una città terremotata da ricostruire. Il buon gusto non è certo il suo forte. A meno che la sua non fosse una minaccia manifesta a Roma e ai romani.

Quel che colpisce, di certo, è l’assoluta tranquillità e superficialità con la quale certe cose vengono dette o fatte. O promesse. Nel nucleo degli inquilini del piano di sopra ci sono anche molti ministri. Lasciando perdere Alfano e le sue penose invettive sulle unioni civili, possiamo citare il ministro Martina, che annuncia una legge che colpirà il caporalato e aiuterà i lavoratori stagionali a trovare diritti e giustizia, senza però specificare né i tempi né il dettaglio di queste misure che il governo (lo stesso che per “ragioni elettorali” ha rinunciato alla cancellazione del reato di clandestinità) avrebbe pensato di attuare. Intanto, però, nell’attesa, di caporalato e sfruttamento si soffre e si muore. Ma non conta, l’importante è annunciare.

Parole su parole. Come se al piano di sotto la gente non vivesse, come se fosse una platea di spettatori pronti a ingoiare qualsiasi slogan, promessa, fandonia. Come quella che il ministro Poletti e il premier Renzi hanno raccontato e ancora raccontano sul jobs act, sulle presunte grandi migliorie apportate, sul rafforzamento delle tutele per i lavoratori, sulla spinta prodotta sull’occupazione. Tutto smentito dalla realtà dei fatti, dall’esperienza di chi ogni giorno continua a vivere nella precarietà di contratti privi di tutele, nel malfunzionamento degli ammortizzatori sociali che non tengono minimamente conto di quello che è accaduto negli anni passati e degli effetti nefasti che rimangono non sanati da questa riforma che accontenta solo i datori di lavoro, soprattutto quelli più furbi. E si potrebbe continuare con gli esempi, nel mondo della scuola, della ricerca, della tutela dei diritti delle donne e della scarsa applicazione di strumenti contro la violenza, e così via.

Siamo dinnanzi a una frattura netta tra ciò che appare e che si vuole far passare per realtà, con pompose e fasulle autocelebrazioni, e la realtà stessa. Siamo in mezzo a una voragine dove, a parte le contrapposizioni di facciata, esiste solo un magma compatto che scende verso il basso e brucia e travolge priorità, diritti, speranze di giustizia. In quella voragine ci stiamo finendo tutti, perché manca una qualsiasi forma politica di opposizione concreta, fatta di senso di responsabilità, di visione complessiva, di amore per il bene comune e non per chi rappresenta questo o quell’interesse specifico o il tassello perfetto per mantenere in piedi il proprio potere.

Forse è ora di tirarci fuori. Forse proprio il movimento per i diritti omosessuali, che ha riempito le piazze, ci sta indicando una strada. Non innovativa o 2.0, ma semplicemente viva e necessaria. E dovremmo  ricominciare a percorrerla.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org