Ormai è stato deciso. Pochi giorni fa il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha firmato il decreto sulle norme in materia ambientale che indice il referendum popolare sulle trivelle per il 17 aprile. Nello specifico, si tratta dell’abrogazione del comma 17, periodo terzo, dell’articolo 6 del dlgs n.152 del 2006, limitatamente alle parole: “Per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia dell’ambiente”. In pratica, si determina la durata delle concessioni offshore già in corso.

Scelta gravissima che conferma la volontà del governo di non accorpare il referendum alle amministrative e che ha suscitato non poche reazioni da parte di ambientalisti e non solo. Una decisione che porta con sé sicuramente un ingente spreco di denaro pubblico (si parla di circa 350-400 milioni di euro) che si sarebbe potuto evitare e, ancora più grave, coincide con una sottrazione di democrazia ingiustificabile. Tutto questo per scongiurare il quorum elettorale, svilire la democrazia e avvantaggiare i petrolieri a qualsiasi costo.

Inoltre, questa decisione, definita più volte antidemocratica e truffaldina, di certo non concede il tempo per una giusta e appropriata campagna referendaria. Avendo i tempi drasticamente ridotti, non sarà possibile aprire una discussione che permetta agli italiani di esercitare il loro diritto di essere adeguatamente informati e, di conseguenza, di decidere consapevolmente e in maniera approfondita. È possibile, infatti, che la data del 17 aprile metta a rischio l’applicazione della legge 28 del 2000 sulla par condicio, proprio perché non ci sarebbero i tempi tecnici per garantire almeno i 45 giorni di campagna elettorale previsti dalla legge.

Associazioni ambientaliste ed esponenti politici avevano, appunto, chiesto a gran voce l’election day ma, secondo quanto viene detto dal Colle, la firma è avvenuta in base al decreto 98 del 2011, che prevede la possibilità di abbinare tra loro referendum o elezioni di diverso grado, ma non elezioni con referendum. Nel 2009, quando si ebbe l’unico caso di abbinamento referendum-elezioni, servì un’apposita legge.

Sul referendum, infine, resta ancora in sospeso la decisione della Corte Costituzionale che dovrà valutare, il 9 marzo, l’ammissibilità dei due conflitti di attribuzione su altrettanti referendum esclusi dalla Cassazione lo scorso gennaio: quello sul piano delle aree per ricerca ed estrazioni di idrocarburi e quello sul doppio regime di rilascio dei titoli. Il conflitto di attribuzione è proposto da sei Regioni: Basilicata, Puglia, Liguria, Marche, Sardegna e Veneto. Se la Consulta dovesse dichiarare ammissibili i due conflitti, si passerà alla fase di merito che potrebbe creare problemi sulla data del 17 aprile.

Se, infatti, la Corte costituzionale accogliesse i ricorsi delle Regioni, gli italiani sarebbero chiamati ad esprimersi non solo sulla durata delle trivellazioni in mare, ma anche sul piano delle aree, che permetterebbe il coinvolgimento delle Regioni, strumento che era stato abolito con un emendamento alla Legge di Stabilità, oltre che sulla durata dei titoli per la ricerca e lo sfruttamento degli idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma.

Insomma, la strada verso il referendum sembra lunga e non priva di impedimenti e ostacoli. Sicuramente le associazioni ambientaliste faranno di tutto per informare bene gli italiani che, per la stragrande maggioranza, sono ben consapevoli del pericoloso impatto ambientale a cui vanno incontro le bellezze del nostro Paese se continuassero a trivellare. 

Veronica Nicotra -ilmegafono.org