Dovremmo essere ormai abituati a queste storie deplorevoli che sembrerebbero partorite da qualche folle sceneggiatore di film americani. Storie di fantapolitica dagli scenari torbidi in cui lo Stato collabora con la malavita locale. Purtroppo, sappiamo ormai da anni che non sono solo storie di fantasia, in Italia lo Stato ha lungamente collaborato con la mafia, sporcando per sempre la storia (non troppo lontana) del nostro Paese. Stiamo ancora cercando di accettare la questione del “papello”, siamo ancora alla ricerca di risposte chiare sulla stagione stragista, sulla sparizione dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, ed eccoci investiti da un nuovo episodio ancora tutto da chiarire e di cui, da italiani onesti, vergognarci terribilmente.

Solo pochi giorni fa è stato reso noto il verbale di una testimonianza che, lo scorso 13 ottobre, il pentito Carmelo D’Amico (un tempo esponente di spicco della mafia barcellonese ed ora collaboratore di giustizia) ha rilasciato agli inquirenti.  Le dichiarazioni in questione riguardano il triste caso di Attilio Manca, il giovane urologo barcellonese trovato morto nel proprio appartamento di Viterbo il 12 febbraio del 2004 (caso di cui ci eravamo occupati qualche anno fa). Una morte strana, archiviata come suicidio per overdose di droga, nonostante Attilio, con la sua brillante carriera, non avesse a rigor di logica alcuna motivazione per togliersi la vita e nonostante la sua professione portasse a considerare altamente improbabile l’utilizzo di sostanze stupefacenti; nonostante le proteste dei familiari, che da subito avevano etichettato come impossibile l’ipotesi, e, soprattutto, nonostante i molteplici indizi che stridevano con una simile soluzione investigativa.

Attilio infatti, mancino puro, fu inspiegabilmente trovato morto in seguito a due iniezioni sul braccio sinistro e pieno di tumefazioni non compatibili con una semplice caduta. Sulle siringhe rinvenute sulla scena del crimine, inoltre, non fu inspiegabilmente trovata alcuna impronta digitale. Eppure tutte queste incongruenze non hanno mai scalfito Renzo Petroselli, il pubblico ministero a cui era stato affidato il caso di Attilio, che ha chiesto per tre volte l’archiviazione del caso, sino ad ottenerla nell’agosto 2013, e che anzi ha ritenuto opportuno accusare Antonino Ingroia, uno dei due legali della famiglia Manca, di averlo calunniato per aver dichiarato, in fase processuale, che l’indagine sulla morte dell’urologo barcellonese era piena di inerzie e coperture con il solo obbiettivo di depistare l’inchiesta.

In base a quanto dichiarato da D’Amico, sembrerebbe invece che fosse giusta la tesi da sempre portata avanti dalla famiglia Manca e dai suoi legali: Attilio fu probabilmente ucciso dopo aver operato Bernardo Provenzano alla prostata perché, avendolo riconosciuto, era diventato un testimone scomodo. Lo scenario raccontato dall’ex boss però è di gran lunga peggiore di quello che ci si aspettava: a quanto pare, non ci sarebbe solo la mafia dietro la morte di Attilio, ma anche i servizi segreti. D’Amico ha infatti rivelato agli inquirenti di aver appreso, nel corso di una sua conversazione con il medico barcellonese Salvatore Rugolo (vicino all’ambiente della mafia barcellonese), che l’avvocato Saro Cataffi, arrestato nel 2012 perché ritenuto affiliato alla mafia, era in qualche modo responsabile della morte di Attilio Manca.

Secondo quanto raccontato dal collaboratore di giustizia, sarebbe stato l’avvocato, su richiesta di un suo amico generale dei Carabinieri, a individuare in Attilio l’urologo che si occupasse dell’operazione di Provenzano e a metterli in contatto. D’Amico ha aggiunto di aver appreso in un secondo momento, durante un colloquio in carcere con Nino Rotolo (il boss di Pagliarelli), come sarebbe avvenuto l’omicidio di Manca. “Di quell’omicidio – avrebbe appreso D’Amico nel corso della sua conversazione con Rotolo – si era occupato, in particolare, un soggetto che egli definì ‘u calabrisi’, un militare appartenente ai servizi segreti, effettivamente di origine calabrese, che era bravo a far apparire come suicidi quelli che erano a tutti gli effetti degli omicidi”. “Rotolo Antonino – ha aggiunto il pentito – mi fece anche un altro nome coinvolto nell’omicidio di Attilio Manca, in particolare mi parlò del ‘Direttore del Sisde’, che egli chiamava ‘U Diretturi’”.

Queste dichiarazioni sono al momento al vaglio degli inquirenti e chiaramente vanno verificate, seppure sembrerebbero supportate da dichiarazioni di altri pentiti di qualche anno fa e dalla testimonianza, via facebook, di un sedicente testimone che avrebbe assistito, suo malgrado, alla visita pre-operatoria di Provenzano e avrebbe visto Attilio in difficoltà, quasi accerchiato, nell’espletare il proprio lavoro. Eppure offrono uno spiraglio, uno squarcio nel velo di omertà e di fango che ha ricoperto, per troppi anni, l’intera vicenda.

Queste dichiarazioni, infatti, come è possibile leggere nel profilo facebook di Gianluca Manca, il fratello di Attilio, offrono “a due anziani genitori, non solo la speranza di conoscere la verità storica sulla morte del loro defunto figlio ma, altresì, la speranza che, questa verità storica, si tramuti in verità giuridica”. Abbiamo avuto modo di sentire proprio la madre di Attilio, Angela, che al nostro Megafono ha dichiarato: “Noi familiari abbiamo accolto con grande soddisfazione, ma anche con profondo dolore le dichiarazioni di D’Amico. Profondo dolore perché abbiamo pensato alle atroci sofferenze di Attilio in mano ai servizi segreti, soddisfazione perché quella verità da noi urlata da 12 anni comincia ad emergere”.

“Certo – ha aggiunto la signora Angela – sappiamo che la strada è ancora molto lunga e piena di ostacoli; sappiamo che cercheranno di insabbiare, depistare, occultare (come hanno fatto in tutti questi anni), ma noi non ci lasceremo intimorire. Andremo avanti con determinatezza, con fiducia nella parte sana delle istituzioni, con la speranza che alla fine la giustizia trionferà”. La speranza, che facciamo nostra, è che il nome di Attilio venga riabilitato e che venga messo agli atti che non era un tossicodipendente ma solo un’altra vittima innocente di quella classe politica corrotta che è scesa a patti e a compromessi, della mafia di Stato che ci ha umiliati e ingannati troppo a lungo.

Anna Serrapelle -ilmegafono.org