La bibbia mette in bocca a Dio queste parole: “I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le mie vie non sono le vostre vie”. Appunto, gli si ribatte: visto che non ci si può capire, non è inutile tenercelo ancora tra i piedi? Le sue vie si perdono nelle nebbie delle paure ancestrali dell’uomo, nei contorcimenti psichici di chi si nutre di depressioni esistenzialistiche. Mentre noi uomini vogliamo vivere, immaginare, creare, assumerci le nostre responsabilità: da protagonisti della nostra storia. Sappiamo bene ciò che si pensa in giro: i giovani credono sempre di meno in Dio o perlomeno si dicono agnostici. Meno male, Deo gratias! Perché se dovessero credere in quella caricatura di Dio che viene spacciata per autentica, allora io per primo mi farei ateo.

Ma in quel salmo della bibbia, Dio manda a dire a tutti che a lui non se lo mettono in tasca. Vabbè, lo potranno anche mettere in croce, lo potranno ritrarre nelle innocue immaginette natalizie, lo potranno strumentalizzare per giustificare decisioni che nulla hanno a che vedere con il cielo, ci potranno giocare costruendo questa o quella religione. Ma i suoi pensieri sono “altri”, le vie che percorre sono “altre”. E allora Dio non è di nessuna religione. Dio non è cattolico. Ma allora fra il Dio della bibbia e noi esseri umani c’è davvero incomunicabilità? Bisogna capire in che senso, proprio secondo la bibbia, la storia di Dio ha molto a che fare con la storia degli uomini. L’incomunicabilità c’è solo con gli uomini che vivono per il potere, i mafiosi, gli arricchiti che brindano con il sangue degli altri e della Terra stessa.

Ma io volevo parlare del Natale e fare ai lettori de Il Megafono.org gli auguri di buon Natale. Mi è sembrata comunque necessaria questa premessa perché, se ce le ho rotte io le scatole per tanti fraintendimenti su Dio e anche sul Natale, pensa che rotture ci saranno lassù…

C’è una donna incinta che sta per partorire. Non si trova neanche un buco dove il marito possa portarla e farla partorire dignitosamente. Finalmente trovano disponibile una grotta adibita a stalla. Lì partorisce la giovanissima Maria. Lì viene alla luce un neonato. La dolcezza dell’evento può cancellare l’ingiustizia grave che quella famiglia subisce? L’autore di questo racconto lo vorrebbe urlare e, fino a oggi, infatti, quell’urlo ci arriva. Perché queste cose non dovrebbero mai accadere, ma accadono anche oggi. Tutto il popolo di Israele aspettava quella nascita. Erano sicuri che Dio sarebbe venuto sulla Terra. Il Dio che piaceva a loro però, tutto scintillante. Potente e con la sua spada al loro servizio.

Quel Dio nella mangiatoia di Betlemme li scandalizzò, tutti si spaventarono perché quel Dio cominciava male, non ci si poteva specchiare in lui. Al massimo era il figlio di un Dio minore e, comunque, meglio schiacciarlo mentre era piccolo per evitare che da grande diventasse un rivoluzionario. Solo quegli stranieri, i re magi, andarono alla grotta portando dei doni (E quanti doni di amicizia e pura umanità mi portano i miei re magi che vengono da tutti gli angoli del terzo mondo!). Ci trovarono dei pastori che raccontavano di aver visto e sentito musiche e canti in cielo e che poi un angelo gli aveva indicato la grotta dove era nato nientemeno che Dio stesso! Ci erano andati portando a Maria e Giuseppe un po’ di formaggio, un po’ di latte e qualche pelle di pecora (E quanti pastori vengono da me, gente povera di Siracusa, che si contenta del poco che possiamo dar loro e ci ripaga continuamente con un “grazie”, dicendoci che qui si sentono come a casa!).

Bisogna sapere che a quei tempi era proibito ai pastori di entrare nelle città perché erano visti come ladri, gente nomade, senza casa e senza dignità. Anche oggi. I poveri entrano in chiesa, ma sempre da estranei, come se avvertissero nell’aria l’ordine di non sporcare e di uscirsene subito da quel luogo di gente perbene. Eppure i pastori, proprio questi scarti umani, raccontavano di aver sentito gli angeli cantare “gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini…”. Personalmente non ho ricordo gente che frequenta le chiese che abbia detto di aver sentito “angeli cantare nel cielo”. Ma che gloria c’era in quella nascita da straccioni?

E poi, se quegli angeli venivano veramente da Dio, avrebbero dovuto cantare “pace a Israele mio popolo eletto”. Che c’entravano tutti gli altri uomini? Cosa imbrogliavano quei ladri nomadi? Che per Dio tutti gli uomini sono uguali?!? Bestemmia! Successivamente Erode mandò a Betlemme i suoi soldati, che, per avere la certezza di uccidere quel bambino che, per i pastori e quegli stranieri, i tre magi, era Dio stesso che si faceva uomo, scannarono tutti i piccoli di Betlemme di età inferiore a due anni. Gesù si salvò solo perché tutta la famiglia scappò profuga in Egitto, dove rimase finché Erode non morì. Dio solo sa quante povere famiglie scappano ancora oggi, inseguite da eserciti ebeti e violenti.
E così gli evangelisti ci hanno raccontato cosa avvenne. E sono chiari i pensieri di Dio che loro ci hanno intravisto e le strade che percorre:

a- Dio è follemente innamorato degli uomini. Ha voluto essere uno di noi.
b- Egli non ha creato i privilegiati e gli scartati. Questa è una ingiustizia che grida davanti a lui e lo scomoda facendolo scendere dal cielo.
c- Non sceglie le armi del guerriero per fare vendetta eliminando i padreterni della terra. Egli dice che la violenza genera violenza e abbassa i giusti al livello dei criminali che detengono il potere.
d- Dio sta con gli oppressi, gli scartati, gli impoveriti: si identifica con loro e vuole ricostruirne la dignità, rimetterli in piedi, a fronte alta, liberi da paure, in un cammino di liberazione totale, integrale. Questo poi predicò alla gente ed era felice che grazie a lui gli zoppi saltavano, i ciechi vedevano, i sordi udivano, i morti risorgevano. Quel bambino di Betlemme somiglia troppo, si identifica già, nei segni natalizi, con il Dio dell’Esodo che spinge un popolo a liberarsi dalla condizione di schiavitù in Egitto e a incamminarsi (nel deserto!) verso una terra di libertà. È chiaro il senso autentico che c’è nei racconti dei “segni” che Gesù faceva? Sì, erano miracoli: miracoli di dignità ritrovate, di rassegnati che ritrovavano speranza, di schiavizzati che ora parlano da uomini liberi, di scarti di spazzatura che scoprono un senso per la loro vita. Ai morti e sepolti Gesù poi ordinava di uscire dai sepolcri e di camminare, andare con il carico bello della loro ritrovata speranza, responsabilità, autonomia.

Gesù raccontò che a Dio non interessa che la gente pensi sempre a lui, che gli faccia i sacrifici e le belle funzioni religiose, che si inginocchi al suo cospetto o pieghi il capo. Davanti a lui si sta in piedi! Non tratteneva mai nessuno, ma dopo aver guarito qualcuno lo salutava ordinandogli solo di fare come faceva lui, cioè impegnarsi, anche a costo della propria vita, per far vivere tutti, ri-dare vita a tutti, seminare speranza e gioia di esistere. Tutto questo c’è nel racconto del Natale. Notiamo, infatti, come i tre magi dopo se ne tornarono per la loro strada e come i pastori continuarono a fare i pastori, non diventarono i gendarmi di Gesù. Dio è libertà, crea uomini liberi e capaci di diffondere libertà. Notiamo, infine, come i re magi tornarono al loro paese senza ripassare da Gerusalemme: perché chi incontra Dio e ne comprende i pensieri non può mai avere i pensieri degli uomini mafiosi che vogliono il potere e abitano nei Palazzi. Non possono mai percorrere le loro vie di sangue, scandali e distruzione per gli altri e dominio per se stessi. È più facile che un cammello entri dal buco di un ago che un ricco entri nella logica di Dio.

Allora per me, augurare BUON NATALE (e lo faccio con tutto il cuore) significa: rialzati, amico mio! Lasciati attrarre dal futuro e credi in te stesso. Assumi i pensieri di Dio e percorri le sue strade. Arriverai alla verità su te stesso, sarai un uomo. Buon Natale, ma sul serio amici miei.
Vi auguro di saper individuare le grotte dove Dio ha il domicilio fin quando l’ultimo barbone non ne sarà uscito con la vita non più in corto circuito.
Vi auguro di saper individuare le tombe dove i becchini seppelliscono i giovani e le loro speranze: spostiamone la pesante lapide, aiutiamoli a rialzarsi.
Vi auguro di saper scalare i calvari per schiodare dalla croce gli uomini in fuga da fame e violenze, da ragnatele burocratiche e leggi erodiane dal sapore di sangue. Natale è il certificato di residenza di Dio, del Dio di Gesù Cristo. Festeggiare il  Natale significa prendere posizione, indignarsi, mettersi in mezzo a gente puzzolente come i pastori e scomodanti extracomunitari che cavalcano bavosi cammelli, e tutto e tutti guardare con gli occhi del cuore, cioè con misericordia, capaci di dire: fratello, ti ho capito. Appoggiati a me e mettiamoci a camminare. Conta su di me. E allora le stalle costruite da un sistema iniquo diventeranno villette per tutti gli uomini, in modo che nascere non sia più una disgrazia in nessuna periferia del mondo.

Padre Carlo D’Antoni –ilmegafono.org