“La Legge n. 185 è stata approvata nel 1990 a seguito di alcuni scandali, quali ad esempio il coinvolgimento di una filiale statunitense di una grande banca italiana (la BNL di Atlanta) nella vendita illegale di armi all’Iraq di Saddam Hussein. La legge prevede che ogni anno i differenti ministeri interessati (Affari Esteri, Interni, Difesa, Finanze, Industria, e altri per quanto di rispettiva competenza) preparino una relazione da presentare al Parlamento entro il 31 marzo, per le operazioni relative all’anno precedente in materia di importazione ed esportazione dei sistemi di armamento da e per l’Italia. Impedisce inoltre che sistemi d’arma italiani possano essere venduti a paesi in conflitto, che violano gravemente i diritti umani e che rientrino in quelli che vengono definiti i Paesi HIPC (nazioni povere pesantemente indebitate)”.

Quanto scritto sopra è tratto dalla voce di “Wikipedia” riguardo la legge 185 del 1990, ovvero il testo legislativo che, tra i suoi emendamenti, vieta espressamente di vendere armi a una serie di paesi, tra cui quelli in conflitto e quelli che violano gravemente i diritti umani, oltre a quelli altamente indebitati, i cosiddetti HIPC (Heavly Indebted Poor Country).

Proprio sulla base di questo testo di legge, nelle ultime settimane a ridosso delle bombe di Parigi, è nata una dura polemica ai danni dell’attuale governo su quella che è l’esportazione di armi fabbricate in Italia a paesi coinvolti nella convulsa e sconnessa situazione di conflitto del Medio Oriente. La famosa legge 185 è l’unica arma legislativa a disposizione. Introdotta da Giulio Andreotti, dovrebbe essere lo strumento per l’attuazione indiretta del nostro articolo costituzionale (art. 11) che vede l’Italia come uno Stato che ripudia la guerra in tutte le sue forme: “[…] consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

La vendita di armi, oltre a non favorire e promuovere le organizzazioni internazionali con scopi pacifici, non assicura nemmeno la pace e la giustizia tra nazioni. Insomma, ogni arma venduta ad un paese in conflitto e non rispettoso dei diritti fondamentali dell’uomo, è uno sputo ai danni della Carta fondamentale e, ahimè, più lacerata della nostra Repubblica. In particolar modo, è la nostra vendita di armi all’Arabia Saudita a contraddire i nostri principi, dei quali Renzi dovrebbe essere l’esecutore di Stato. Il paese saudita è attualmente in conflitto con il suo vicino di casa, lo Yemen, e dunque farebbe parte di quelle nazioni a cui la vendita di armamenti è proibita.

Ma andiamo a vedere nello specifico come la nostra Repubblica gestisce il mercato della guerra. Tra i noti marchi italiani internazionali che provano ad esportare, oltre ai prodotti in sé, anche la nostra cultura e la nostra identità italica, come Barilla ed Eataly quando ci riescono, spiccano per qualità e volumi anche molti nomi dell’industria bellica. Pistole Beretta, fucili di precisione e anche elicotteri militari sarebbero i cavalli di battaglia del settore. Spesso prodotti da aziende come AgustaWestland, Alenia Aermacchi, Selex, Ge Avio, Elettronica, Oto Melara, Piaggio Aero, Beretta, Whitehead, Iveco. Tutte facenti parte del gruppo Finmeccanica.

Tra il 2000 e il 2013, l’Italia è stata la maggiore esportatrice mondiale di armi leggere, superando gli USA. Un dato che fa rabbrividire oltre a stupire per le potenti capacità industriali di cui questo settore dispone. Secondo la Confartigianato, l’Italia avrebbe venduto 5 miliardi in armi in Africa e Medio Oriente tra il 2010 e il 2014. Tra i clienti maggiori spunta l’Algeria e, ancora prima, nel 2009, quando l’Italia era amica di Gheddafi salvo poi bombardarlo, vennero vendute armi alla Libia, le stesse che poi hanno permesso di uccidere durante la guerra civile successiva all’abbattimento di un ex-amico dell’Occidente. Spesso il grado di ipocrisia e incoerenza del mercato anarchico e delle mosse geopolitiche, ormai basate sul mero principio del dominio utilitaristico, raggiunge livelli che sono infinitamente lontani dai nostri principi costituzionali.

Secondo la Rete Italiana per il Disarmo, sono già tre le spedizioni di armi effettuate verso l’Arabia Saudita e quindi destinate al conflitto in atto con lo Yemen (da marzo di quest’anno, 5700 morti di cui 870 sono donne e bambini). Molti di questi omicidi sono stati portati a termine grazie alle nostre tecnologie militari. E se la vendita prosegue significa che il prodotto funziona. La logica del mercato della guerra non è diversa da quella di un qualsiasi altro prodotto. “È inaccettabile che la ministro della Difesa, Roberta Pinotti, sostenga che sono regolari le forniture di bombe e materiali militari italiani all’Arabia Saudita, impegnata in un conflitto in Yemen senza alcun mandato da parte delle Nazioni Unite. Chiediamo un incontro urgente con il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, per chiarire la posizione del governo italiano sulle esportazioni di armamenti”. Lo scrivono in un comunicato congiunto la Rete Italiana per il Disarmo, Amnesty International Italia e l’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Difesa e Sicurezza (OPAL) di Brescia.

Matteo Renzi sembra del tutto impreparato a fronteggiare le critiche e anche il ministro Pinotti sembra indifferente alla questione. Dice Beretta, presidente della Rete Disarmo, che Andreotti stesso era molto più chiaro sul tema in questione, e questo è abbastanza significativo. Come sempre, dunque, all’Italia piace non prendere posizioni esatte o chiare, preferendo lavorare sottobanco, aiutare un po’ gli USA e un po’ se stessi. Il nostro accattonaggio nelle relazioni internazionali, di scuola democristiana e berlusconiana, sembra essere ancora una filosofia predominante.

Nel contesto globale attuale, dove lo scoppio delle bombe a Parigi ha portato a interventi militari, altamente graditi alle industrie militari europee e internazionali, sembra non esserci più alcuna logica predominante. Un quadro mediorientale caotico, costantemente labile, in balia di terroristi addestrati dalla CIA, squali della finanza, del petrolio e delle armi, in balia di estremisti religiosi e governi fantocci. Sembra un perfetto neo-colonialismo di puro carattere economico basato sul “Dividit et impera”, nemmeno più culturale o religioso, solo economico, che però si pone in contraddizione con le nostre costituzioni, quelle nate dopo le guerre dove noi eravamo coinvolti, il cui scopo era anche provare a evitare conflitti futuri, per dare speranza ai popoli e non spazio a un mercato che dinanzi al profitto s’inchina e bacia le mani anche a chi l’odio lo adora e lo santifica. 

“Alta sui naufragi
dai belvedere delle torri
china e distante sugli elementi del disastro
dalle cose che accadono al disopra delle parole
celebrative del nulla
lungo un facile vento
di sazietà di impunità

Sullo scandalo metallico
di armi in uso e in disuso
a guidare la colonna
di dolore e di fumo
che lascia le infinite battaglie al calar della sera
la maggioranza sta la maggioranza sta
recitando un rosario
di ambizioni meschine
di millenarie paure
di inesauribili astuzie

Coltivando tranquilla
l’orribile varietà
delle proprie superbie
la maggioranza sta
come una malattia
come una sfortuna
come un’anestesia
come un’abitudine
per chi viaggia in direzione ostinata e contraria”

Così cantava De Andrè, anni fa, quando avevamo ancora dei poeti veri.

Italo Angelo Petrone -ilmegafono.org