Secondo un recente rapporto di Legambiente, “Marine litter 2015”, i nostri mari rischiano di trasformarsi in vere e proprie pattumiere. Lo dimostrano i dati emersi dall’analisi effettuata da Goletta Verde nei mari italiani nelle estati 2014 e 2015 e presentata a Roma, presso il museo civico di zoologia, durante il convegno “Plastic Free Sea”, al quale hanno partecipato moltissime figure di spicco nell’ambito ambientale e dell’emergenza rifiuti. Dopo ben 205 ore di osservazione diretta, 2.600 chilometri di navigazione, 120 chilometri quadrati di mare monitorati, i risultati sono molto chiari: si parla di circa 2597 rifiuti avvistati tra il Tirreno, l’Adriatico e lo Ionio. Praticamente, si conta una media di 32 rifiuti galleggianti ogni chilometro quadrato: nello specifico, il 95 per cento è costituito da rifiuti di plastica, come teli, buste intere o frammentate e bottiglie . Il restante 5 per cento è, invece, costituito da carta, legno, metalli, gomma, tessili e vetro.

“Purtroppo, la presenza dei rifiuti in mare rappresenta un fenomeno ubiquitario – dichiara Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente -. È preoccupante constatare una presenza così massiccia di plastica, il rifiuto più persistente nell’ambiente ma anche quello più dannoso per l’ecosistema e la fauna marina. L’ingestione del marine litter, infatti, è stata documentata in oltre 180 specie marine. Un fenomeno che arreca a questi organismi, in particolare tartarughe e cetacei, gravi danni, spesso letali. Purtroppo, il problema non è circoscritto ai soli rifiuti galleggianti, ma è aggravato da tutto ciò che non è visibile. Questi frammenti, una volta ingeriti dai pesci, finiscono sulle nostre tavole, contaminando di fatto l’intera catena alimentare. Anche l’Italia faccia la sua parte e raccolga la sfida all’ambizioso e necessario obiettivo che impone la direttiva Marine Strategy ai paesi membri: raggiungere il buono stato ecologico per i nostri mari entro il 2020”.

Il mare più inquinato sembra essere il Tirreno centrale e in particolare le coste tra Mondragone (Ce) e Acciaroli (Sa), con una densità di 75 rifiuti per chilometro quadrato e, tra Palermo-Sant’Agata di Militello e le Isole Eolie, con 55 rifiuti per chilometro quadrato. Poi segue l’Adriatico meridionale con una densità di circa 34 per cento per chilometro quadrato e, infine, lo Ionio con il 33 per cento. In generale, è stato messo in luce che il 54 per cento degli scarti è di origine urbana e domestica, mentre il 32 per cento è derivante da attività produttive e industriali, come la pesca.

Inoltre, per effetto di onde, correnti, irradiazioni UV e altri fattori, i rifiuti marini sono destinati a frammentarsi in milioni di microparticelle che si disperdono negli oceani. Infatti, grazie a un protocollo di intesa tra Ispra e Legambiente è stato condotto un primo studio preliminare sulla presenza di microplastiche sulla superficie del mare, in corrispondenza degli arcipelaghi. Il picco massimo è stato raggiunto a largo dell’isola di Ischia, dove sono state rilevate 528 microparticelle di plastica per 1000 metri cubi d’acqua.

“Ridurre l’impatto del marine litter sull’ecosistema marino e costiero – dichiara Stefano Ciafani, vicepresidente nazionale di Legambiente – non solo gioverebbe all’ambiente ma anche ai costi che questo fenomeno comporta per la collettività. Circa 500 milioni di euro l’anno, infatti, è la stima dei costi per l’Unione Europea, considerando solo i settori del turismo e della pesca”. Dunque, sarebbe importante mettere in campo delle politiche di prevenzione ad hoc, quali l’adozione di un unico standard di valutazione e l’aumento del riciclaggio dei rifiuti e del packaging, per ridurre il marine litter fino al 35-45 per cento in meno, con un conseguente guadagno sui costi di 168,45 milioni di euro annui.

Veronica Nicotra -ilmegafono.org