Durante la campagna elettorale turca chiusasi pochi giorni fa, la tv di stato ha dato spazio per 59 ore a Recep Tayyip Erdoğan e solo 6 ore e 29 minuti a tutte le altre opposizioni. Inoltre, 58 giornalisti sono stati licenziati dopo il commissariamento del gruppo editoriale Ipek, anti-Erdogan per capirci, da parte della giustizia turca. Altri 35, tra alti funzionari della burocrazia e ufficiali di polizia, sono stati arrestati, in quanto sostenitori di un esponente anti-Erdogan. Queste sono le azioni politiche che hanno addobbato la vittoria alle elezioni turche del l’AKP, il partito del “sultano”.

La sua vittoria gli ha permesso di avere la maggioranza politica e quindi di fare, banalmente, tutto quello che vuole. Dal modificare la Costituzione, all’evitare di dover formare fastidiosi governi di coalizione, rischio corso dopo le elezioni di giugno. Inoltre, potrà far fuori, come già sta facendo e faceva da tempo, ogni forma di opposizione, che sia istituzionale o popolare. L’aspetto più interessante di tutto il pubblico ludibrio a cui è sottoposta la democrazia ottomana sta nella funzione della Turchia nella crisi siriana che coinvolge lo scontro con l’ISIS. Gli aspetti intriganti e interconnessi tra loro sono due: il rapporto tra Erdogan e la comunità curda, da cui è derivata parte della sua strategia della tensione, e l’utilità di Erdogan per l’Occidente, in veste di governatore stabile di un paese crocevia, in questo momento nevralgico dal punto di vista geopolitico.

Il rapporto tra l’AKP e i curdi è stato positivo per molti anni, in quanto una buona parte della comunità curda sunnita, che a sua volta è un quinto della popolazione ottomana, è molto conservatrice e trovava in Erdogan una salda opzione di governo. Poi, con la crisi siriana le cose sono cambiate. Difatti, finché Erdogan non ha supportato i ribelli anti-Assad, fino al punto di supportare anche l’ISIS quando essa stava conquistando i territori occupati dai curdi pro-Assad, le cose non erano ancora degenerate. Insomma, con la crisi siriana Erdogan ha perso i voti dei curdi sunniti. Per recuperare immagine è accorso tra gli ultra-nazionalisti e ha scatenato un romantico conflitto contro il PKK, il partito indipendentista, gli estremisti curdi. Tra bombe durante manifestazioni pacifiche e arresti sommari, Erdogan vince. L’Occidente esulta.

La domanda è proprio qui e si connette al punto precedente. Perché le nostre coalizioni atlantiche di pace e democrazia vedono di buon occhio la sua vittoria? Semplice, oltre a essere un sostenitore anti-Assad, un governo come il suo assicura stabilità e sicurezza al paese ponte tra Europa e Medio-Oriente. Inoltre, tramite la sua salda alleanza con la NATO, tenuta in piedi amaramente dall’imposto utilitarismo occidentale, egli regolamenta anche i flussi di profughi siriani, cosa che un governo instabile, di coalizione o di opposizione non forte non sarebbe stato in grado di fare, oltre a destabilizzare non solo il Medio.Oriente ma anche a causare rischi gravissimi sul versante della protezione contro il terrorismo.

Ora questa situazione sembra dare a Erdogan una specie di protezione occidentale che gli permette di fare quello che vuole in termini di democrazia interna turca. E adesso, il paese del caffè e delle sigarette rischia la guerra civile.

Erdogan ma anche Orban e tanti altri, sono i cattivi di cui l’occidente ha bisogno nei territori dove non può gestire le cose direttamente. Il penoso utilitarismo geopolitico dei nostri governi, sempre in prima fila per esaltare una lotta a favore della democrazia laddove non c’è, tranne poi tifare per “dittatori utili” e abbatterli quando poi esagerano, è un emblema dell’attuale crisi politica globale. Se, anche in termini di interesse economico e politico, in questo momento, Putin è di gran lunga uno stratega capillare meritevole di coerenza, a differenza di Obama (coerenza specifica, in termini di nemico globale e dei propri interessi), gli USA, invece, con questo atteggiamento di potere assoluto, appaiono capaci di guardare l’IS trionfare a Damasco quasi con un pizzico di gusto.

Italo Angelo Petrone -ilmegafono.org