Si sta parlando molto negli ultimi giorni dell’approvazione del famoso TTIP, Il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (in inglese Transatlantic Trade and Investment Partnership), inizialmente definito Zona di libero scambio transatlantica, ossia TAFTA (Transatlantic Free Trade Area). Tra Berlino e Bruxelles sono scoppiate delle proteste, sui cartelli dei manifestanti si legge “TTIP c’est la morte”. Ventiquattro capitoli divisi in tre parti, un accordo di libero scambio da sempre complicato e molto discusso: cerchiamo di capire come funziona il TTIP e perché molti, nonostante esso potrebbe essere la sigla di uno dei più grandi accordi commerciali in termini di area, lo considerano un nemico per il commercio.

È dal 2013 che il trattato è oggetto di negoziazione tra USA e UE. L’obiettivo principale dello scambio è eliminare ogni forma di dazio e di barriera non tariffaria tra i due attori in questione. Per barriera non tariffaria, tra le tante, s’intendono le diverse procedure di omologazione, i regolamenti tecnici o le regole sanitarie da rispettarsi. USA e UE, assieme, rappresentano la metà del PIL mondiale, e se anche il PIL non è un misuratore di civiltà lo è sicuramente di potere economico. Tra le prime versioni dell’accordo si trovano limitazioni sulle leggi che i governi partecipanti potrebbero adottare per regolamentare diversi settori economici, in particolare banche, assicurazioni, telecomunicazioni e servizi postali. L’accordo doveva concludersi definitivamente entro la fine di quest’anno, ma le ultime voci parlano di un rischio dello slittamento del termine oltre il 2016.

Andando a fondo nella questione vien da chiedersi  perché un area di libero scambio ha portato in piazza più di centomila persone e raccolto tre milioni di firme contrarie attraverso l’Ice, l’iniziativa dei cittadini europei, contro la realizzazione del trattato. Il gioco è tutto nella ridiscussione delle barriere non tariffarie. Ovvero, nella semplificazione burocratica in termini legali, tecnici e procedurali per facilitare lo scambio di merce. Il settore più discusso è sicuramente quello agricolo. Ogm, ormone della crescita, ractopamina, uso di pesticidi e additivi, riduzione degli agenti patogeni, ma anche l’embargo della carne bovina europea con gli USA, sono gli argomenti più scottanti nei corridoi di Bruxelles.

L’altra faccia oscura del TTIP, invece, è l’Investor-state dispute settlement (Isds), il particolare meccanismo di arbitrato internazionale che darebbe la possibilità alle aziende di citare in giudizio interi Paesi e governi anche sulle espropriazioni indirette di utili futuri, mentre non permetterebbe il contrario. Dinanzi alla lettura di cose come Isds, si nota definitivamente che non si parla di più un semplice accordo tra due paesi ma di un reale accordo che tende a modificare l’economia commerciale atlantica.

Tanti i problemi in questione. Da un lato gli Stati Uniti sembrano sempre meno interessati alla riuscita dell’accordo, vista anche la recente conclusione e firma del Tpp, il trattato transpacifico tra USA e Giappone, Australia, Brunei, Canada, Cile, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam. Dall’altro lato, in Europa, abbiamo problemi di coinvolgimento dei nostri governi. Gli alti commissari incaricati di gestire le contrattazioni, come Vytenis Andriukaitis, commissario per la Salute e la Sicurezza Alimentare, alle proteste sulla secretazione dei termini della negoziazione e sul mancato coinvolgimento dei governi ha risposto: “Dobbiamo incoraggiare gli Stati membri ad essere più attivi nel valutare la situazione”. Le pressioni delle lobby sono fortissime e clausole come quelle dell’Isds fanno pensare ai precedenti che lo hanno reso noto.

Tra gli ultimi eventi vi è la citazione della Romania da parte del gruppo minerario canadese Gabriel Resources, che chiede oltre 4 miliardi di dollari a titolo di risarcimento per un permesso di scavo che tarda ad arrivare per ragioni ambientali, dopo circa 550 milioni di investimenti. Insomma, aziende che fanno cause a Stati e meno controlli sulla merce. Un modello di libero commercio forte e senza limiti.

Trattati come il TTIP fanno paura se si va a leggere a fondo cosa riguardano. Come nei peggiori contratti di gas o telefonia, sembra anche qui esserci la presenza di clausole vessatorie fantascientifiche. L’Europa e gli Usa, insieme, stanno affrontando l’attuale crisi globale con estrema precauzione in termini economici e militari. I governi europei di questo accordo non ne vogliono sapere, onde evitare di dover poi fare battaglie nei propri paesi contro le singole parti lese dall’accordo. Se lo si farà lo farà l’UE, e noi cittadini della più moderna unione di stati, ancora una volta, saremo rimasti a guardare.

Italo Angelo Petrone -ilmegafono.org