I carabinieri di Torre Annunziata (Na) hanno messo a segno un colpo importantissimo, catturando Michele Cuccaro, boss dell’omonima cosca camorrista che ormai da tanti anni spadroneggia ad est del capoluogo campano. Cuccaro, ricercato dal novembre del 2013, era inserito nella lista dei cento latitanti più pericolosi e l’arresto di qualche giorno fa ha decretato non solo la fine della latitanza, ma probabilmente anche quella del clan, ormai privo dei suoi capi storici. Quello di Cuccaro, infatti, è solo l’ultimo dei durissimi colpi che lo Stato ha inferto alla cosca in questi anni: prima di lui, lo scorso giugno, era stato arrestato il fratello Luigi; nel marzo del 2014, invece, era toccato all’altro fratello Angelo, il quale, secondo gli inquirenti, era noto come il più spietato e il più pericoloso dei tre.

Così, dopo due anni di ricerche e indagini, le forze dell’ordine sono riuscite a scoprire il covo segreto del boss, situato per la precisione all’interno di un casolare in provincia di Latina. Secondo quanto riferito dagli inquirenti, Michele Cuccaro sarebbe stato armato al momento della cattura, ma non avrebbe opposto alcuna resistenza, consegnandosi liberamente ai carabinieri.

L’arresto del latitante, dunque, pone fine a un’egemonia di un clan in forte espansione, che ha fatto della droga e del racket i suoi punti nevralgici e più forti. Non è un caso, ovviamente, che i tre fratelli siano stati arrestati con accuse praticamente uguali: traffico di stupefacenti, omicidio, associazione per delinquere di stampo mafioso e contrabbando. Proprio la famiglia Cuccaro, inoltre, si è resa protagonista di una scena che è impossibile dimenticare e su cui bisognerebbe riflettere ancora.  Durante l’arresto di Luigi (avvenuto il 21 giugno di quest’anno), la folla cercò, invano, di strappare il boss dalle mani dei carabinieri, rendendosi così protagonista di una di quelle scene patetiche, orride e avvilenti alle quali si assiste spesso in certi contesti.  

Per fortuna adesso anche l’ultimo rampollo della famiglia Cuccaro è stato scovato e ingabbiato, senza resistenze di sorta. Se è vero che l’Italia deve contare sulle persone che fanno della legalità e della giustizia un motto di vita (e ce ne sono, ce ne sono tante), buone notizie come questa devono farci sperare. Le forze dell’ordine, in collaborazione con la magistratura e tutti gli inquirenti che, ogni giorno, nel campo della lotta alle mafie, svolgono il proprio lavoro con rigore e serietà, riescono spesso a darci un po’ di respiro.

La cattura del boss e il conseguente declino (si spera definitivo) di un clan potente e pericoloso non può che essere uno di quei tanti segnali positivi da cui bisogna ripartire e che le istituzioni nazionali dovrebbero favorire, dotando chi opera nei territori di tutti gli strumenti adatti a restituire legalità e giustizia.

Giovambattista Dato –ilmegafono.org