Il giorno che la Francia ha annunciato che i migranti non sarebbero passati dalle sue frontiere, accendendo un moto di rabbiosa indignazione in chi crede che l’accoglienza dei rifugiati sia un dovere di tutta l’Europa, mi è arrivata una telefonata. Era Yoro, giovane amico senegalese scappato dal sud Senegal dove, oltre a studiare letteratura all’università, è entrato in contrasto con l’Imam e con le autorità politiche locali, in quanto presidente di un’associazione per la difesa della laicità e dei diritti delle donne, particolarmente attiva contro la pratica dell’infibulazione ancora diffusa nel suo villaggio. Yoro non è un amico qualsiasi, è uno di quelli che quando ci si rivede ci si abbraccia forte, ma soprattutto è qualcuno con cui si parla di tutto quel che accade, ci si confronta, anche a distanza, quando si mettono di mezzo i chilometri tra la Sicilia e Milano. Quando mi ha chiamato, questa volta mi ha dato giusto il tempo di rispondere e di ricambiare il suo saluto, quindi ha iniziato a sfogarsi.

“Sono molto triste e arrabbiato – ha esordito – perché la Francia ha scelto di chiudere i confini. È assurdo”. Il suo tono di voce esprimeva una delusione vera, profonda, che proveniva dal cuore e da un’idea ben precisa di cosa rappresentasse la Francia per lui. Una nazione che ha segnato la storia del suo Paese, di quel Senegal colonizzato e depredato che ha dato il suo contributo allo sviluppo dello stato transalpino: “I miei nonni – racconta Yoro -, durante la Seconda guerra mondiale, hanno combattuto per la Francia e hanno contribuito alla libertà e democrazia della nazione. Lo zio di mio papà ha preso l’aereo per Parigi per combattere contro Hitler, gli hanno dato il fucile e uno zaino e lo hanno mandato a difendere la Francia. Dopo il conflitto, i francesi, come ringraziamento, non hanno nemmeno indennizzato i reduci senegalesi, che erano cittadini a tutti gli effetti, e quando questi ultimi, a Dakar, si sono ribellati per protestare sono stati uccisi”.

Yoro conosce la storia, ama studiare, si ispira al messaggio di eroi dell’orgoglio africano, come Thomas Sankara, si definisce africanista prima che senegalese e vive perciò con enorme dolore la scelta del governo di Hollande nei confronti dei profughi: “Hanno colonizzato il mio paese – continua – e altri paesi africani; hanno preso tutte le nostre risorse. Ora che gli africani hanno bisogno di aiuto, chiudono le frontiere. Non possono pensare di essere indifferenti all’Africa. Perché nel bene e nel male continente africano e Francia sono strettamente legati, come il tappo e la bottiglia, come la Bic e il suo cappuccio”. Le colpe della Francia non sono solo quelle relative allo sfruttamento economico dei territori colonizzati, ma anche quelle riguardanti l’influenza politica: “Tutte le crisi esistenti nei paesi francofoni in Africa, sono crisi politiche di cui la Francia è la prima responsabile. Prendo ad esempio un caso che riguarda il mio Senegal, che è lo Stato africano con la migliore struttura democratica. In una regione a sud del Senegal, la Casamance, è in corso da oltre trent’anni un sanguinoso conflitto tra i ribelli separatisti e indipendentisti e le forze senegalesi. Bene, la Francia è più che responsabile, dal momento che essa vende le armi ai ribelli”.

L’analisi di Yoro, poi, si sposta sulla questione libica, dove le responsabilità riguardano un po’ tutto l’Occidente: “La situazione attuale in Libia – afferma – non si risolverà, perché alle potenze occidentali non interessano i morti ma soltanto mantenere i rapporti economici e cercare di mettere le mani sulle risorse. Si sono stretti accordi in passato con Gheddafi (Sarkozy, a quanto pare, dai libici si sarebbe fatto finanziare la campagna elettorale del 2007), poi l’Occidente ha deciso di mollare il Colonnello e di scatenare una guerra terribile, che ha colpito come sempre il popolo. Le morti e le torture avvenute in Libia, il bombardamento, la guerra, il caos: è il cosiddetto Occidente che ha creato tutto ciò e i responsabili dovrebbero rispondere di questi crimini davanti alle loro popolazioni nazionali oltre che a quelle materialmente colpite dalle conseguenze delle loro scelte”.

A questo punto mi viene naturale chiedere a Yoro perché, sapendo e pensando tutto questo, sia deluso dall’egoismo della Francia: “Ero molto affezionato alla Francia – risponde -, avevo la curiosità di conoscerla, ne ero ammirato. Questo soprattutto grazie al nostro primo presidente, Léopold Sédar Senghor, che ha mostrato alla Francia e al mondo intero il valore della cultura africana, i principi della negritude, affermando l’influenza che la cultura dell’Africa ha sull’Occidente e promuovendo lo scambio e la condivisione di questi valori tra Senegal e Francia (e Occidente), la scoperta reciproca. Senghor affermava un’immagine dei neri ben lontana da quella cruenta e distorta alla base della schiavitù, parlava di persone capaci di cultura, intelligenza. Molti africani studiavano nelle università europee e questo avrebbe reso più facile lo scambio. La Francia ha mostrato interesse a quanto detto da Senghor. Ancora oggi, ogni sabato e domenica, alle 22.30, Rfi Radio France International, si occupa dei paesi africani francofoni, racconta la loro storia, quella di Sankara, quella dell’indipendenza, la questione delle risorse scippate all’Africa. Ecco, io credevo che questo punto di vista fosse oggi dominante in Francia, non immaginavo che ci avrebbero sbattuto la porta in faccia”.

Yoro non accetta quello che è accaduto a Ventimiglia, considera pericolosa la logica della fortezza inespugnabile. Me lo ripete più volte. Alla fine della nostra telefonata, gli propongo pertanto di mettere per iscritto questa nostra conversazione e questi suoi pensieri. Di renderli pubblici. Spiego che mi piacerebbe lasciare spazio al suo punto di vista di senegalese, di migrante, riguardo alla scelta ingiusta di una nazione colonizzatrice.

Accetta volentieri e mi chiede di aggiungere un’ultima cosa prima di salutarmi: “Qualche giorno fa ho conosciuto un uomo siracusano che è stato in Burkina Faso per 15 anni a lavorare e ora ha comprato un terreno a Siracusa. L’ho aiutato, un paio d’ore, a sistemare un muretto. Mi ha pagato bene. Abbiamo parlato, era dispiaciuto per quello che noi africani dobbiamo patire. Mi ha detto che l’avventura da lui vissuta in Burkina Faso gli ha permesso di conoscere veramente la bellezza del popolo africano, senza filtri o resistenze culturali, e che l’esperienza è la migliore scuola per comprendere il mondo, cancellare il razzismo e arricchire la nostra cultura. Sono d’accordo con lui. Per noi africani il concetto di esperienza, di conoscenza diretta è molto importante. Allora voglio chiudere con un pensiero di Amadou Hampâté Bâ, uno scrittore maliano, che a proposito dell’esperienza ha scritto una bellissima frase che dice: ‘In Africa, quando un vecchio muore, è come una biblioteca che brucia’”.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org