Il sindaco di Roma, Ignazio Marino, ospite qualche giorno fa della trasmissione “DiMartedì”, su La7, ha parlato di Mafia Capitale e degli esponenti del Pd romano coinvolti nell’inchiesta che sta facendo tremare la politica romana e nazionale. Lo ha fatto nel giorno in cui il Movimento5Stelle, insieme a CasaPound e all’estrema destra (ossia l’area ideologica a cui appartengono la mente del sistema criminale e molti altri suoi “referenti”), ha contestato il primo cittadino chiedendone le dimissioni. Marino si è difeso e la sua è sembrata una difesa lineare, guidata dalla volontà documentata di fare pulizia e di liberarsi di certi personaggi, già prima che venisse fuori lo scandalo.

Nelle sue parole c’erano molte cose condivisibili, come il fatto che l’indignazione sembra rivolgersi totalmente alla sua giunta e alla sua persona, dimenticando completamente le responsabilità di chi lo ha preceduto e che sono oggetto anche di indagini giudiziarie. Ha spiegato delle tensioni con il Pd romano, con una parte che avrebbe remato contro e con cui non avrebbe mai avuto buoni rapporti, ha raccontato delle richieste di ispezione della Finanza da lui presentate per accertare la corretta gestione del Comune e delle denunce fatte. Insomma, Marino ha provato a respingere i contestatori e le contestazioni alla sua persona e al suo operato, difendendo la propria onorabilità. Le sue risposte alle domande di Floris non forniscono dunque ragioni per dubitare della buonafede del sindaco, mentre l’indecorosa parata dei 5 stelle a braccetto con i fascisti mostra con certezza tutti i limiti del movimento di Grillo.

Ciò detto, il problema del Pd non è la persona di Ignazio Marino, ma piuttosto lo spessore politico sottile suo e della maggior parte degli uomini e delle donne che oggi rappresentano l’area di governo del partito a livello locale e nazionale. Ignazio Marino, in quell’intervista, era riuscito a fare una buona figura, era stato chiaro e a tratti perfino convincente. Poi, sono bastati pochi secondi finali per mettere in evidenza la sua fragilità e il virus che inquina il Pd su certi temi e che lo porta a scegliere la strada della demagogia, il pantano della mistificazione e della generalizzazione nel quale sguazzano Salvini e i suoi simili. Sono state sufficienti poche parole per confondersi tra coloro che all’ignoranza rispondono con la stessa ignoranza, strategica, delittuosa, bestiale.

“Io penso che nelle nostre città – ha detto Marino – non possiamo accettare persone che rubano, che vanno nelle stazioni metropolitane, mettono a rischio la nostra sicurezza e non mandano i bambini a scuola. Noi la illegalità non possiamo tollerarla”. Il riferimento è alla questione dei rom, sulla quale il segretario della Lega, che sarebbe stato ospite del programma poco dopo, ha stuzzicato il primo cittadino romano accusandolo di non aver saputo governare quello che per Salvini è un problema urgente. Marino ha risposto così, con parole che, se si prova a leggerle senza associarle ad alcun nome, fanno subito il paio con quelle pronunziate da vari esponenti leghisti o di estrema destra.

Fa effetto pensare che, dopo aver parlato di un sistema criminale, non solo italiano e romano, ma persino collegato ad alcune facce del suo partito e della sua giunta, l’illegalità intollerabile per Marino alla fine sia quella dei rom, tra l’altro con una serie di luoghi comuni che, neanche a dirlo, vengono appiccicati nuovamente e sbrigativamente all’intera etnia. Il suo tono duro e deciso, da comiziante, su quel “noi” e sul “non possiamo tollerarla”, avrà magari spostato a proprio vantaggio il voto di qualche indeciso o di qualche radical chic dal piglio autoritario, ma ha messo in mostra tutta la pochezza politica di questa classe dirigente dem che occupa indebitamente l’area (ormai sempre meno definita) di centro-sinistra.

Il problema degli italiani e di Marino, oggi, in mezzo alla crisi e alla corruzione, ai diritti negati, agli autoritarismi istituzionalizzati, alle ingiustizie spacciate per riforme, sono dunque diventati i rom. Nel paese delle quattro e più mafie, delle collusioni, delle terre dei fuochi, dei femminicidi, dei giornalisti minacciati e di quelli uccisi, il problema sembrano essere i rom e i campi rom, quelli sui quali lucravano i protagonisti dell’inchiesta che ha toccato anche il Pd e un assessore della giunta di Marino. Sono loro i nuovi bersagli, insieme ai migranti. E a colpire questi bersagli non sono solo i seguaci della strategia (politica ed economica) di ispirazione nazista basata sull’esclusione, la ghettizzazione, lo sfruttamento e l’eliminazione del capro espiatorio, ma purtroppo anche quelli che in teoria dovrebbero opporvisi organicamente.

Marino ha sprecato una grande occasione e messo in mostra una ingenuità e una impreparazione disarmanti. Con il sospetto che, come detto, ciò possa essere la scelta consapevole di chi, piuttosto che far ricorso ad argomentazioni opposte, preferisce cavalcare l’onda e seguire la destra fascio-leghista sul terreno della paura, dell’allarme sicurezza e della falsità. Perché di falsità stiamo parlando.

I numeri, infatti, anche in questo caso parlano chiaro. Come chiaro è quello che un video diffuso dall’Associazione 21 Luglio spiega riguardo alla situazione dei rom e dei sinti oggi in Italia e alle bugie diffuse dalla Lega: “Sono circa 35 mila i rom e i sinti che vivono nei cosiddetti campi rom. 1 su 5 del totale dei circa 170-180 mila rom e sinti presenti in Italia. Tutti gli altri vivono in regolari abitazioni, studiano, lavorano e conducono una vita come quella di ogni altro cittadino, italiano o straniero, residente sul territorio nazionale”.

I campi rom non sono luoghi di delinquenza tout court, ma sono ghetti, luoghi di esclusione, della quale è responsabile la maniera criminale con cui l’Italia (anche con Maroni ministro dell’Interno) ha sempre gestito la questione. Forse, invece di parlare di illegalità e di furti nelle metropolitane, Marino dovrebbe studiare di più e interrogarsi su chi sono i veri protagonisti d questa illegalità in Italia. Non c’è neanche da sforzarsi troppo: basta andare in carcere e fare qualche domanda a qualche suo ex collega di partito.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org