La reazione politica generale all’ultimo scandalo di Mafia Capitale è sempre la stessa: polemiche, finta indignazione, promesse di far pulizia. Dopo, sempre dopo. Come se un prima non ci fosse mai stato, come se quei nomi che oggi sono finiti nei provvedimenti di arresto o negli avvisi di indagine fossero sorprese, come se lo stesso business illegale di cui si è parlato ampiamente nei mesi scorsi fosse una novità incredibile e non la conferma ulteriore di quanto profondo fosse lo strappo alla legalità e quanto diffuso il vizio di potere. Non è una questione, infatti, che può fermarsi qui, ai nomi degli arrestati, alle loro specifiche appartenenze partitiche.

Il problema è il quadro generale che emerge dalle inchieste, i nomi di coloro che circolano nelle intercettazioni ma che non sono indagati, le rivelazioni che vengono fatte, il coinvolgimento di entità cattoliche che da anni gestiscono il potere in tutta Italia, l’assoluta adattabilità di questo sistema a tanti altri settori della cosiddetta “accoglienza” e non solo. Il Cara di Mineo è il caso più emblematico, quello più scottante, perché Mafia Capitale ha confermato ciò che, chi da anni si occupa di immigrazione, ha sempre saputo, denunciato, mentre da chi governava non arrivava alcun segnale. Ecco perché le indignazioni tardive, le promesse di pulizia sono talmente puerili e scontate da divenire imbarazzanti. Chissà come mai la politica ha sempre bisogno di essere smascherata per annunciare il proprio sconcerto.

Annunciare, proprio così, perché di annunci si tratta, visto che, in questi mesi, dopo la prima tranche dell’inchiesta, non ci sono stati interventi mirati a fermare il business dell’accoglienza. Anzi, si è assistito a una recrudescenza di parole, opinioni e atti contro i migranti in arrivo, cioè contro le prossime vittime, sia nel dibattito politico che nelle scelte proposte e progettate in sede Europea su iniziativa italiana. Dire che le cose cambieranno, che chi ha sbagliato pagherà o trasformare questa vicenda nell’ennesima bagarre tra varie forze politiche che, indebitamente, si attribuiscono più onestà di altre, è soltanto scenografia, una maniera per confondere dentro al caos le responsabilità di tutti. Ci si concentra solo sulle singole responsabilità individuali, senza che nessuno metta in discussione il modello generale di accoglienza, gestito in modo disumano, criminale e ipocrita.

Come se i personaggi che ruotano attorno alla gestione dei centri fossero solo quelli finiti in manette e non anche i tanti, con nomi e cognomi precisi, che in questi anni l’hanno fatta sempre franca e continuano a partecipare a bandi e appalti. Come se ci fossero solo i centri interessati dall’inchiesta a utilizzare sistemi e metodi simili e non, invece, molti altri sparsi per il Paese, dove le autorizzazioni non servono o sono discrezionali, dove le competenze non contano, dove la dignità viene calpestata e i diritti non vengono riconosciuti. Vuoti dentro territori nei quali, a far da cornice, ci sono la pochezza e l’arbitrarietà di funzionari prefettizi e dirigenti delle forze di polizia, con conseguenze dannose che ricadono, come sempre, sulle vite e sulle speranze dei migranti. Il sistema criminale dell’accoglienza è molto più radicato e profondo di Carminati e Buzzi, ha molti più complici e responsabili, tra i quali anche alcuni nomi che si sono sentiti e letti nel corso di questi mesi di indagini.

Da una buona politica ci aspetteremmo un’operazione di rottura, una ridefinizione del modello di accoglienza, tenendo conto delle centinaia di denunce fatte da associazioni non governative, movimenti per i diritti umani, giornalisti e cittadini. Ci aspetteremmo una gestione complessiva e umana dell’accoglienza che, giusto per chiarirlo agli ignoranti di varia specie che girano per i salotti tv o per il web, è un obbligo internazionale a cui non ci si può sottrarre. Sappiamo che è possibile accogliere con dignità e che i numeri dei richiedenti asilo sono esigui rispetto a qualsiasi altro Paese, nonostante le bugie di Alfano, Salvini, Meloni e orrori vari. Il vero problema è che se l’Italia facesse il proprio dovere, quello che altri paesi europei fanno, politica, imprese, enti, mafie perderebbero una bella fonte di guadagno e di consensi. Non conviene a chi comanda o a chi aspira a comandare.

Allora, meglio non attendersi alcunché, se non settimane di accuse reciproche che i mass media documenteranno ossessivamente. Di Mafia Capitale così resterà solo il nome suggestivo, una sigla da utilizzare ogni tanto come un mantra per ricordarsi che qualcosa di losco esiste, ma nulla più. Approfondire vorrebbe dire rivoltare i fili dei burattinai, spaccare il sipario e mettere a nudo volti noti e nomi eccellenti. E costringere questo Paese ad ammettere che i veri delinquenti, professionisti come pochi al mondo, sono rigorosamente made in Italy, e che i migranti sono le loro vittime prescelte.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org