Se dovessimo chiedere a un italiano qualsiasi di ricordare la data esatta dell’ultimo naufragio, quello degli oltre ottocento morti, probabilmente la maggior parte di essi non saprebbe rispondere se non in maniera orientativa. Se agli stessi chiedessimo qualcosa sull’Isis, sicuramente quasi tutti saprebbero citare a memoria una delle notizie di vario tipo che circolano sul web e nelle agenzie, spesso prive di verifiche anche minime oltre che di logica. Sì, perché passata la fase brevissima (e in alcuni casi profondamente ipocrita) del dolore, dell’indignazione, del “poveretti”, delle lacrime, delle fiaccolate commemorative e dei momenti di preghiera, come era prevedibile l’oblio ha già spalancato le fauci e iniziato a ingoiare tutto.

Cosa rimane di quel naufragio? Niente più dell’emozione momentanea e della speranza che drammi simili non accadano più. Per il resto, la politica è rimasta com’era, anzi, è peggiorata e ha sfruttato la tragedia per coagularsi attorno a posizioni che mirano a spostare la questione e ad allontanarla sempre più dai nostri occhi e dalle nostre coscienze. Che i migranti muoiano lontano, in Libia, dentro le sue città, le carceri, i cimiteri sabbiosi del deserto che la circonda, nei porti nei quali i trafficanti ti sparano addosso e ti uccidono per nulla. Questa, in crudo, è la soluzione proposta dalle istituzioni europee e dall’Italia: fermiamoli lì, bombardiamo i barconi, affondiamoli prima che si riempiano di disperati. Della loro sorte, una volta che non avranno modo di partire, non importa a nessuno.

Quel che importa è che non muoiano in mare, nel nostro mare, costringendoci a interessarci di loro, a versare lacrime, a recitare la parte degli addolorati, a trovare responsabili diversi e il più lontano possibile da noi e dalla nostra “civiltà”. Ma sì, aiutiamoli anche a casa loro, facciamo in modo che non lascino nemmeno la Siria, l’Eritrea, il Kurdistan, l’Iraq e via dicendo. Troviamo una maniera facile (che non richieda una politica internazionale e un sistema economico mondiale diversi) per scoraggiare anche solo la loro speranza di avere una possibilità di fuga dalla morte.

Questo è il sogno perverso che, con sfumature e parole differenti, accomuna tutti, da Renzi a Salvini, da Hollande alla Merkel, passando per molti “egregi esponenti” della stampa italiana. Un sogno che, per essere realizzato, ha bisogno di una strategia che costruisca elementi negativi in grado di giustificare la chiusura a riccio di un’Europa fortezza, spietata, cresciuta con il sacco coloniale delle risorse africane e oggi decisa a non restituire nemmeno una briciola del pingue bottino. Ecco perché tutto ciò che contribuisce a creare paura diventa perfettamente funzionale e conta poco che questi terrificanti contributi vadano contro ogni logica umana o scientifica.

Prima il fantomatico rischio epidemie (scabbia, tubercolosi, ebola e chi più ne ha più ne metta) smentibile e smentito facilmente e ampiamente dai dati di Oms, Iss, Ministero della Salute, varie Ong come Msf o Emergency; poi la minaccia dell’imminente arrivo in Italia delle bandiere nere dei terroristi dello Stato Islamico, gli obiettivi possibili, l’incredibile scenario secondo cui i terroristi si infiltrano tra i disperati stipati sui barconi in viaggio verso l’Italia. L’assurda equazione terrorista-immigrato è stata criminosamente spacciata per vera e verificata. Quei barconi, allora, sono stati ridisegnati e trasformati in navi nemiche che ci minacciano, mentre le donne, i bambini, i ragazzi e gli uomini disperati che vi si trovano sopra, schiacciati come sardine, da vittime sono divenute capri espiatori, untori o delinquenti da allontanare.

Ieri l’idiozia dell’ebola, veicolata e pompata da partiti e movimenti xenofobi e dai loro vari mezzi di (dis)informazione, sperando che nessuno si accorgesse che un malato non supererebbe nemmeno i giorni di attesa prima del viaggio terribile per mare; oggi l’ipotesi dei terroristi infiltrati. Quest’ultima affidata, da sedicenti giornali e agenzie, alla bocca dei soliti esponenti dei gruppi xenofobi o perfino a rappresentati istituzionali libici, ossia coloro che la pelle dei migranti da anni la riempiono di ferite, lividi, sangue e buchi, dentro a un sistema di violenza e corruzione che ha coinvolto tutti i livelli vecchi e nuovi della nazione nordafricana.

Non conta il fatto che sia assolutamente grottesco che un militante dell’IS o terrorista si infili in una barca piena di gente e rischi di morire annegato piuttosto che entrare con un normale visto turistico in aereo o con qualsiasi altro mezzo meno pericoloso. Ma chissà, magari qualcuno ha una fantasia tale da pensare che ci sia un’utilità nell’addestrare un criminale, dotarlo di armi e attivare una rete internazionale di contatti per poi rischiare di perderlo in mezzo al mare. O forse si pensa che possa esistere una nuova frontiera del terrorismo che prevede di minacciare l’Occidente facendo fuori qualche centinaio di disperati dentro a una barca in affanno in mezzo al Mediterraneo?

La faciloneria con la quale la stampa, senza operare alcuna selezione basata quantomeno sul buon senso, dà spazio e credito a certe assurdità, omettendo le logiche e dando ai professionisti dell’odio prestati alla politica l’opportunità di nutrire i sentimenti più truci e la chiusura razzista del popolo, appare come una inspiegabile quanto pericolosa complicità con chi vuole costruire un consenso drogato nei confronti delle disumane strategie di respingimento dei migranti. Ecco perché non bisogna mai fidarsi delle paginate emotive, delle immagini che sollecitano pietà o dei ragionamenti finalizzati a scaricare il barile delle proprie responsabilità sempre su altri, su fattori e protagonisti esterni.

Un pericoloso gioco di occultamento della verità che fa sì che ci si dimentichi troppo in fretta di quel che accade, senza che mai vengano approfondite colpe e omissioni, sia istituzionali che individuali. Un gioco irresponsabile che, inoltre, in quel poco di memoria sbiadita che ci rimane, crea un inaccettabile capovolgimento di prospettiva che diseduca e rischia di provocare conflittualità e tensioni. Chissà se faremo in tempo ad accorgercene. 

Massimiliano Perna –ilmegafono.org