Il caso della neonata morta in Sicilia mentre, in ambulanza, cercava di raggiungere un ospedale che avesse un posto in terapia intensiva, ha assunto rilevanza nazionale, diventando argomento di dibattito sullo stato della sanità siciliana. La maggior parte dei commentatori ha puntato il dito sulle strutture pubbliche, colpevoli di non aver accolto la neonata, invitando poi a non strumentalizzare politicamente la vicenda. Come se la politica non c’entrasse affatto, come se il peso di questa tragedia fosse scaricabile unicamente sugli ospedali pubblici e sul loro personale. Nel mezzo, come sempre, si è infilata persino la solita retorica settentrionalista di chi, storcendo il naso, è abituato a considerare la malasanità una questione meridionale. Per carità, che la situazione al Sud non sia rosea non è falso, soprattutto per quel che riguarda le strutture, ma sgombriamo il campo da stereotipi accecanti e cerchiamo di guardare la realtà senza accatastare la memoria.

Partiamo dalla constatazione che la malasanità è un problema italiano, visto che di casi scottanti e terribili ne sono esistiti a centinaia negli anni passati, in qualsiasi città e regione dello Stivale: da Catania a Torino, da Napoli a Milano, da Roma a Padova. Le morti evitabili, gli errori, le pinze “dimenticate” dentro i pazienti operati, le cliniche degli orrori ed altro ancora hanno riempito il funesto elenco della vergogna e del dolore. Chiarito questo aspetto, adesso concentriamoci però sulla Sicilia e su quello che avviene da anni e che riporta tristemente al tema delle conseguenze di una cattiva politica e soprattutto alla questione della sanità privata. Perché la politica è pienamente coinvolta, altro che. In Sicilia c’è una storia ormai lunga di smembramento del sistema sanitario pubblico, a vantaggio di quello privato, molto spesso (lo dicono le inchieste) legato direttamente a Cosa nostra, attraverso prestanome o uomini di fiducia dei boss.

La vicenda dell’ex governatore siciliano, Totò Cuffaro, oggi in carcere, è esemplare. I suoi rapporti diretti con il re della sanità privata, Michele Aiello, uomo di Bernardo Provenzano e condannato a 15 anni e 6 mesi per associazione mafiosa, sono l’emblema di un legame perverso tra la politica e le cliniche private (avviene anche nel resto del Paese), a completo svantaggio del sistema pubblico, che per di più dalla politica ha subito tagli di ogni genere, la chiusura di numerosi ospedali, ma soprattutto di reparti importanti, senza che a ciò seguisse un potenziamento degli strumenti e del personale delle strutture rimaste. 

Anche in Sicilia, come nel resto d’Italia, negli ospedali vi sono medici preparati che fanno il proprio dovere e salvano quotidianamente vite umane. Ci sono reparti che sono perfino eccellenze, ma sono superstiti rispetto a una lunga politica di distruzione scientifica del pubblico. Ed è una distruzione i cui responsabili, lo ripetiamo, sono anche e soprattutto politici, perché la sanità è da decenni un grande tavolo nel quale si gioca una partita di gestione del potere, nell’ambito della quale si stabiliscono i ruoli, si distribuiscono favori, si costruiscono clientele e carriere. Ci si guadagna in tanti e in tanti devono essere soddisfatti.

A partire dai privati, da coloro che, spesso perfino imparentati con la politica (la Gibiino nella quale la bambina è stata partorita, ad esempio, è di proprietà della famiglia di un senatore di Forza Italia), costituiscono cliniche che poi hanno bisogno di rivolgersi al pubblico perché non sono dotate nemmeno di una cannula e di un reparto di terapia intensiva attrezzato e che mandano una neonata in ambulanza per raggiungere un lontano ospedale che potrebbe salvarla. E tutti a chiedersi la stessa cosa: perché non è stato chiamato l’elisoccorso? Quanto tempo è passato prima che venisse attivata la procedura di emergenza? La magistratura, ce lo auguriamo, potrà fornirci tutte le risposte, anche sulle eventuali responsabilità della clinica.

Di sicuro le responsabilità politiche sono evidenti. Perché non si riesce davvero a trovare colpevoli diversi, se si pensa alla penuria di posti in reparti vitali, tutti pieni o sovraffollati (e quindi privi degli strumenti necessari per accogliere e salvare, in qualsiasi momento, un essere umano), o se si pensa che ci siano cliniche abilitate che non abbiano in loco gli strumenti per affrontare degnamente un momento delicato come quello del parto o del post parto. E qui andiamo a un tema che è nazionale e molto più complesso e riguarda le garanzie di una gestione diversa da quella statale. Siamo in un Paese che, da tempo, pensa di poter risolvere le carenze del pubblico affidandosi al privato, per poi scoprire che il privato, che al cittadino costa di più, molto spesso non è migliore del pubblico, anzi.

Ciò vale per la sanità, ma anche per l’istruzione, per la gestione e l’erogazione dei servizi al cittadino, per la tutela del bene comune e così via. Questo avviene per due ragioni: perché il privato è più strettamente legato a logiche imprenditoriali fredde e soprattutto perché il rapporto tra politica e privato è spesso il frutto di un conflitto di interessi, in base a cui non sono né il merito né l’eccellenza a determinare la scelta di affidamento di un servizio che concorre con quello pubblico. Di esempi, in Sicilia e non solo, se ne potrebbero fare a centinaia. La morte della neonata che ha fatto indignare ministri e parlamentari e lasciato da subito cadere l’accusa sugli ospedali “rei” di aver negato il soccorso perché i reparti di terapia intensiva (gli unici utili a salvare la piccola) erano pieni, è costata la revoca dell’accreditamento da parte della Regione alla clinica Gibiino, con Crocetta che ha lanciato accuse pesantissime sulla dinamica che ha determinato questa tragedia.

Da adesso in poi cosa accadrà? Cosa cambierà? Crocetta dice, giustamente, che la sanità in Sicilia è stata gestita per anni dalla mafia e dai suoi complici politici, dai vari Cuffaro di turno. Ma a Crocetta, allora, andrebbe chiesto perché, sapendolo, ha pensato di allearsi e di governare proprio insieme a quel partito che sosteneva Cuffaro e il suo sistema a livello regionale e locale. Soprattutto, andrebbe chiesto perché si deve arrivare sempre alla tragedia prima di aprire gli occhi su una realtà che è nota a tutti da sempre. C’era bisogno di una neonata uccisa dalla inadeguatezza di una struttura privata, prima di provvedere alla revoca dell’accreditamento?

Se è risaputo che la sanità privata in Sicilia è stata per anni un affare mafioso, perché non provvedere, sin dall’inizio del proprio mandato regionale, a ispezionare e verificare l’adeguatezza e la regolarità di ogni singola struttura, azzerando gli accreditamenti iniqui? Le lacrime di coccodrillo sono stucchevoli e inutili, specialmente di fronte a fatti simili. Alzare la voce soltanto a posteriori è un segnale sicuramente più debole dell’intervenire a priori, perché nel caos delle urla di indignazione si alza sempre un po’ di polvere che, quando sarà trascorso un po’ di tempo, tornerà a posarsi ovunque, nel silenzio delle clientele, delle carenze e dell’immutabilità delle cose, fino alla prossima cronaca di una morte annunciata ed evitabile.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org