Non voglio entrare nel merito delle sentenze, soprattutto così a caldo. Di sicuro però una riflessione, partendo dalle condanne ai militanti No Tav, è giusto e possibile farla, da semplice cittadino che vive dentro questa società, non parteggia per ideologie estremiste di alcun tipo, ma crede fermamente nei valori della Costituzione. Ciascuno fa il suo mestiere, i giudici fanno i giudici, i giornalisti fanno i giornalisti. I cittadini, invece, non fanno un mestiere solo, ma tanti diversi oppure, per loro sfortuna, possono anche non trovarne uno. Quando decidono di mettersi insieme per difendere uno di quei valori o il futuro proprio e della propria comunità, però, tutti diventano attivisti, ossia un gruppo compatto che sceglie di agire democraticamente per ottenere ascolto e soprattutto risposte dalle istituzioni, cioè dalla politica, che dovrebbe essere sempre ispirata al buon senso e alla tutela del bene comune.

In Val di Susa la comunità ha così  iniziato, anni fa, una battaglia civile per salvare la valle da un progetto inutile e dannoso, per la realizzazione del quale si sono messi in moto meccanismi poco puliti, con infiltrazioni (come è ovvio in Italia) mafiose che sono finite anche dentro ad inchieste della magistratura. Si è formato un movimento di donne e uomini che chiedevano semplicemente di tenere conto dei loro diritti e di salvare una valle importante dallo scempio di interessi economici e politici a dir poco ambigui. In un Paese normale, le istituzioni avrebbero ascoltato il punto di vista di chi protestava e cercato la migliore tra le alternative possibili. In Italia, invece, la politica ha chiuso occhi e orecchie e mostrato, da subito, i pugni.

La Val di Susa è diventata il laboratorio di una repressione violenta e inaudita, insensata, partorita dal rifiuto di logiche democratiche e di confronto che ormai, a tutti i livelli, appaiono fastidiose, desuete, inutili. Se si conserva ancora un po’ di onestà intellettuale, al di là di come la si pensi, si potrà convenire sul fatto che è stata proprio questa carenza politica, seguita da un’arroganza unilaterale e aggressiva, a generare le reazioni, a infuocare il clima, a costringere ai sabotaggi e a produrre qualche infiltrazione di violenza dentro un movimento nel complesso civico e civile. Questo è avvenuto in Val di Susa ed anche in altre parti d’Italia, in altri fronti accesi, nei quali l’inettitudine politica, la sua connivenza con interessi di grandi lobby economiche, ha calpestato i diritti dei cittadini, le regole, le procedure e, nemmeno a dirlo, il buon senso, per poi accanirsi su chi giustamente recriminava, magari infrangendo una legge attraverso un sabotaggio o un blocco stradale.

Oggi a pagare sono i militanti, sono sempre coloro che si oppongono in nome di un principio di salvaguardia del territorio. Sono sempre coloro che reagiscono a un sopruso e che, dall’alto, vengono spregiativamente definiti “il popolo dei No”, “il freno dello sviluppo”, “gli estremisti dell’ambiente”. Poco importa che quei No, come la storia ha dimostrato tante volte in maniera tragica, sono stati veri, fondati, anche scientificamente, e se tante volte  si fosse dedicato un po’ tempo ad ascoltarli avrebbero potuto evitare morti, malattie, distruzioni irreversibili. Lo scopriamo sempre dopo, purtroppo, quando non c’è più nemmeno il tempo di fare giustizia.

Quello che davvero non è comprensibile, poi, è vedere come degli attivisti subiscano delle condanne così esemplari e dure, mentre chi ha avvelenato, ad esempio, un intero territorio e prodotto vittime e dolore (vedi caso Eternit), la scampa sempre. Così come fa male pensare che nonostante sia chiaro che tutta la vicenda Tav abbia responsabilità politiche ben precise, compresa quella di fomentare la violenza e lo scontro, e sapere che queste responsabilità non verranno perseguite in alcun modo. Si preferisce perseguire, invece, un intellettuale come Erri De Luca, solo perché ha difeso la legittimità della disobbedienza di fronte a una ingiustizia “legalizzata”.

Come si fa poi a non pensare che tutto questo rientri, non nella tutela della legge, bensì in un disegno politico atto a reprimere il dissenso e la libertà di espressione e di pensiero? Poche settimane fa, di riflesso a quel che accadeva a Parigi, risuonavano ovunque voci di libertà e di amore per la libertà di parola. Oggi in Italia si puniscono dei “dissidenti” e si processa un intellettuale: oggi quelle stesse voci che urlavano solidarietà ai parigini, plaudono ai persecutori, mentre nelle aule parlamentari si prova a correggere una legge sulla diffamazione vergognosa che si voleva far passare in silenzio. Lo stesso silenzio a cui chi comanda, a livello nazionale e regionale, vorrebbe autoritariamente costringere i cittadini. Tutti. Anche quando hanno il sacrosanto diritto di opporsi.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org