L’attuale capo della tribù Hopi ha chiesto a gran voce la restituzione di alcune maschere che la casa d’aste “Eva” aveva messo in vendita il 15 dicembre scorso all’hôtel Drouot. La tribù Hopi dell’Arizona ha contestato, senza grandi risultati, a parte una buona visibilità mediatica, la vendita di 25 maschere Hopi considerate dalla tribù oggetti sacri.

Queste maschere, portate durante delle cerimonie religiose di passaggio della tribù, sono vietate ai “bianchi” e vengono considerate come esseri viventi. La tribù Hopi è da anni impegnata nell’impedire la vendita di oggetti d’arte amerindiana, nella speranza di ottenere la restituzione degli stessi. Sfortunatamente il mercato dell’arte non è sensibile alle questioni religiose e fino ad ora ha sempre ignorato le richieste di restituzione.

Ci chiediamo: perché non lasciare ad un popolo il diritto di conservare e raccontare da sé la sua storia? Perché esiste un organismo che, ad esempio, restituisce agli ebrei i beni sottratti dai nazisti e non esiste un identico organismo che tuteli gli oggetti delle tribù indiane ancora esistenti? Non dimentichiamo che quello degli indiani d’America è stato un altro terribile Olocausto, protratto per secoli dai nostri antenati conquistatori.

L’ambasciata francese degli Stati Uniti ha esortato la casa d’aste ad instaurare un dialogo tra venditori e acquirenti, da un lato, e la tribù, dall’altro, ma purtroppo senza alcun risultato. A Natale non siamo tutti più buoni.

 Angelo De Grande -ilmegafono.org