In questo bailamme di riforme abbiamo perso l’unica vera bussola. A restituirmi la direzione del Nord e un’intuizione da quinta ginnasio è, inaspettatamente, Bersani in un pigro mercoledì all’ora di cena. Il contesto, quello mangereccio intendo, è anche il migliore per sentire le parole sagge ma soprattutto semplici del Gargamella nazionale. Di lui abbiamo scritto su questo sito di tutto (ma solo quello che pensavamo) ma non possiamo negare il fatto che si tratti indubbiamente di uno che parla semplice. Quella sua semplicità un po’ casereccia ha il pregio di farti fare ogni tanto un bel passo indietro e cascare pesantemente coi piedi per terra. Insomma, Bersani ha detto, in riferimento a un discorso più ampio sull’art 18, che non è d’accordo con il progresso in sé ma con il progresso che consente un miglioramento delle condizioni di vita delle persone.

Tutto qui? Esatto. Neanche la Gruber che lo incalzava con domande più specifiche si è accorta del fatto che il riferimento è molto più generale e molto più “di principio” per essere sporcato con beghe interne al partito. Era dal 2006 che non mi fermavo a riflettere su questo punto che, oggi più che mai, è centrale. Che c’entra Steve Jobs? Steve Jobs è stato un tizio, anzi un genio, che in questo discorso rappresenta l’alter ego dello sconfitto di Bettola. Un genio che ha creato dei bisogni e li ha saputi soddisfare stravolgendo la quotidianità della vita delle persone. Insomma, Steve Jobs, a Bersani e alla sua proverbiale birretta, avrebbe preferito un Ipad e una cup di Starbuck’s coffee.

Ipod e Iphone, ovvero lettori multimediali piccoli e portatili e tecnologia dello smartphone a portata di tutti sono l’evoluzione incarnata in quel volto furbo ma rassicurante. In questo Steve Jobs ha rappresentato e rappresenta il progresso ad ogni costo. Un male o un bene saranno i posteri a dirlo, ma non è questo il punto. Ad oggi basta riflettere sul fatto che il segno “meno” del conto economico di quel progresso così lampante e sconvolgente lo vedo, per esempio, nello sfilacciamento dei rapporti interpersonali, nella necessità di avere uno strumento a batteria come estensione corporea, nella dipendenza dalla connessione al mondo, nella perseguitabilità (non solo in senso lavorativo) dell’individuo sempre e comunque.

Non c’è bisogno di essere retrogradi per rendersi conto di questi semplici fatti. Il discorso, poi, è estendibile ad altri aspetti della realtà compreso quello, ovviamente, economico. Progresso a tutti i costi o progresso lento? Questa è una delle chiavi di lettura con cui bisogna saper leggere o meglio, giudicare il presente. Serve sottolinearla per non scordarsene e dare per scontato che il progresso a ogni costo in cui viviamo è, se non altro, discutibile.

Il mondo di oggi (e forse anche la storia) è un’eterna lotta tra contadini e rivoluzionari del Terrore, tra Italia unita e separata, tra i pranzi faraonici di Natale e il consumo critico, tra cena con amici o con mummie dotate di smartphone, tra tortellini fatti in casa e quattro salti in padella, tra vinile e musica nelle orecchie quando preferisci. Non è necessario essere d’accordo con l’una o l’altra impostazione.

Basta ricordarsi che le nostre scelte si inquadrano, alla larga, in una di queste due visioni che convivono con il pensiero umano da troppo tempo perché l’una possa dimenticarsi dell’altra o ignorarla. Anzi, il processo che porta all’esclusione di una delle due genera solo altri mostri o manganellate a casaccio, in ambo i sensi di marcia.

Penna Bianca -ilmegafono.org