Era la primavera del 2004, quando Marina Noè, assessore regionale all’industria del governo di centrodestra Cuffaro, diede via libera, con un suo decreto, a quattro concessioni (Eni – Sarcis – Edison – PantherResources Corporation) per la ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi nel territorio siciliano, assegnando un permesso di ricerca alla texana PantherResources (permesso poi trasferito nel 2006 alla PantherEurekasrl) su una delle più significative aree storico-paesaggistiche e archeologiche della Sicilia. Un’area quasi interamente coincidente con quella del Val di Noto, già inserita nella Heritage List dell’Unesco come patrimonio dell’umanità per la straordinaria ricchezza dell’intreccio e dell’evoluzione delle civiltà indigene e di quelle successivamente insediatesi, per il fascino incredibile delle sue bellezze ambientali e per la suggestiva concentrazione di opere architettoniche ed urbanistiche del tardo barocco: un caleidoscopio di arte, cultura e ingegno urbanistico.

Si dava così via libera, dopo il perfezionamento del disciplinare tipo per le concessioni (decreto del 30 marzo 2003) previsto dalla legge 14 del 2000 varata dal governo di centrosinistra Capodicasa, al saccheggio del territorio siciliano senza tenere in alcun conto le caratteristiche ambientali e le vocazioni delle diverse aree e senza il coinvolgimento delle popolazioni, degli enti e delle istituzioni interessate.

Una logica che unificava, pur in fasi diverse, destra e sinistra in una aberrante concezione dello sviluppo e trasformava in sudditi le comunità locali. Un disegno politico ed economico ideato e pianificato nei palazzi palermitani, tra il 2001 e il 2002, dagli esponenti di governo, dall’Assomineraria (l’associazione dell’industria mineraria e petrolifera di Confindustria) e da alcune delle grandi e piccole lobbies del petrolio. Un percorso senza intoppi nel silenzio e nella indifferenza di tutti i gruppi politici. Solo dopo la promulgazione del decreto Noè e la esecutività del permesso di ricerca “Fiume Tellaro”, assegnato alla Panther e comprendente una superficie di 741,20 kmq delle provincie di Siracusa, Ragusa e Catania (l’intera area dei monti iblei, dalla riserva del fiume Irminio a quelle di Bosco San Pietro e di Vendicari, e l’intero bacino del fiume Tellaro), esponenti delle associazioni ambientaliste di Noto, dei Verdi, di Italia nostra, i sindaci di Rosolini e di Modica, un componente della stessa giunta regionale, Fabio Granata, il presidente della Provincia di Siracusa, Bruno Marziano, espressero le prime preoccupazioni sulle gravi alterazioni che le trivellazioni avrebbero prodotto in un territorio dall’immenso valore paesaggistico e culturale.

Erano segnali di una contestazione non ancora sufficiente però a bloccare la scelta del saccheggio, se si considera che da molte parti si tergiversava e ci si chiedeva se, escludendo l’estrazione di petrolio, non si potesse consentire invece la ricerca di idrocarburi gassosi come il metano, senza tenere conto che la devastazione sarebbe ugualmente avvenuta. Solo una forte denuncia dell’inganno di un falso sviluppo, che avrebbe compromesso definitivamente il futuro delle molteplici potenzialità di quel grande lembo della Sicilia di Sud-Est, poteva bloccare le mire fameliche di cinici cacciatori di idrocarburi fossili. La svolta decisiva avvenne in modo improvviso.

Si avviò un processo che, attraverso una forte campagna di informazione e di denuncia di alcune testate locali (rivolta soprattutto alle comunità coinvolte e al mondo della cultura e delle istituzioni dei 13 comuni dell’area del Tellaro) e il sorgere di comitati “No trivellazioni”, che si ramificarono in quasi tutti i centri urbani delle tre province, determinò la nascita di un grande movimento di dura opposizione alle scelte dissennate del governo regionale del tempo, ma soprattutto di forte proposta che faceva leva sulle grandi risorse di quel territorio e rivendicava un cambiamento di linea sul potenziamento delle risorse energetiche, puntando al grande ed innovativo settore delle fonti rinnovabili, compatibili con la valorizzazione delle preziose fonti di sviluppo esistenti.

Fu una lotta strenua per respingere gli attacchi dei petrolieri della Panther che, a più riprese, tentarono di avviare le operazioni di perforazione, trovando a sbarrargli il cammino, a Noto e a Modica in particolare, non solo un’opposizione popolare che andava crescendo, ma anche sindaci che decisero di non svendere il loro territorio e che non si lasciarono incantare dalle sirene maligne delle compensazioni ambientali e delle royalties. Contro l’ignavia del governo Cuffaro, che non decideva di annullare le concessioni, si sollevarono le dure critiche dei rappresentanti dell’Unesco, dal commissario Ray Bondin al prof. Giovanni Puglisi, rappresentante per l’Italia, di esponenti della cultura, come Andrea Camilleri, del Fai, di intellettuali e del mondo cattolico; rimane emblematico il pieno sostegno, espresso nel 2005, dal Vescovo della diocesi di Noto, mons. Malandrino alla scelta di salvaguardia del territorio e delle sue peculiarità dalla devastazione incombente, nel corso di una manifestazione contro le trivellazioni.

Nel Val di Noto la protesta si trasformò in un impegno collettivo permanente per rintuzzare e isolare i continui tentativi di aggressione all’ambiente e le insidie di una scelta disastrosa di liberalizzare la ricerca di idrocarburi, fatta dalla regione siciliana. Una mobilitazione incessante che, nel marzo 2007, culminò con una imponente manifestazione popolare – alla quale parteciparono anche comitati di altre province, esponenti delle istituzioni locali, delle associazioni ambientaliste e una delegazione del movimento No Tav – che in corteo raggiunse contrada Zisola, un’area a ridosso dell’ultimo tratto del fiume Tellaro, dove la Panther pervicacemente aveva deciso di portare le sue trivelle. Quella nuova iniziativa, insieme al netto rifiuto di qualsiasi autorizzazione opposto dal sindaco di Noto, l’avvocato Valvo, dissuase la società petrolifera dal perseguire questo obiettivo.

Il movimento del Val di Noto diventò così un punto di riferimento per tutte le altre aree territoriali siciliane, anch’esse minacciate dai permessi di ricerca già concessi e dalle nuove istanze che venivano avanzate continuamente da società italiane e straniere per invadere il più ampio spazio possibile della terra siciliana, pur sapendo che le cosiddette presunte riserve di gas e petrolio rinvenibili nel sottosuolo rappresentavano percentuali minime rispetto al fabbisogno energetico nazionale. Ma per le lobbies del petrolio ciò avrebbe comunque costituito un guadagno; per la Sicilia e i siciliani uno sconvolgimento e un rischio permanente per il loro futuro.

La nascita dei coordinamenti No Triv in quasi tutte le province siciliane che rischiano di essere coinvolte nella corsa agli idrocarburi (che senza sosta si continua a perseguire) e la maggiore sensibilità delle comunità locali costituiscono uno zoccolo duro che può arginare ed arrestare l’attuazione dei nuovi permessi di ricerca già concessi e può e deve far crescere uno schieramento poderoso contro il proliferare di istanze di prospezione e di estrazione di idrocarburi. Siamo tutti consapevoli che gli interessi delle società petrolifere sono stati favoriti dalle scelte normative del governo Berlusconi prima, del governo Monti dopo (il piano energetico di Passera) e, cosa ancora più grave, dalle decisioni assunte dal governo Renzi che, con il decreto “Sblocca Italia”, spiana la strada alle scorribande dei petrolieri.

La Sicilia, aggredita sulla terraferma dalle norme contenute nella legge regionale n.14 del 2000 e dai successivi decreti di attuazione, ora rischia di vedere contaminato e distrutto l’habitat dell’intera area marina e costiera del canale di Sicilia (da Trapani a Portopalo fino ad una parte dell’area ionica, Noto compresa) per la decisione di aprire la caccia delle trivellazioni nel nostro mare.

Salvatore Perna -ilmegafono.org