Il gup di Palermo, Giangaspare Camerini, ha condannato tre uomini della cosca mafiosa di Castellammare del Golfo (TP), vale a dire Gaspare Mulè (otto anni e dieci mesi), Mariano Asaro (3 anni e 8 mesi) e Fausto Pennolino (6 anni e 8 mesi). I tre, esponenti del clan di Cosa Nostra, già in manette dal settembre del 2013, vedono così moltiplicarsi i capi di accusa, oltre agli anni di carcere previsti per i reati che, secondo il tribunale di Palermo, vanno dall’estorsione alla tentata estorsione. Nell’ottenere tale risultato sono stati sicuramente fondamentali il coraggio e la determinazione di un imprenditore trapanese, Gregory Bongiorno, operante da anni nel mondo dello smaltimento dei rifiuti con la propria azienda, l’Agesp, nonché presidente di Confindustria Trapani. Un coraggio che è anche frutto di tanti sacrifici e di un passato per niente facile.

Bongiorno, infatti, sarebbe stato vittima del racket sin dal 2005, anno in cui, secondo le inchieste, avrebbe versato ben 10 mila euro a Mulè. Nel corso del tempo, la presa si sarebbe allentata per poi riprendere forza proprio nel 2013, anno in cui l’imprenditore ha deciso di dire basta e di uscire allo scoperto.

Adesso, a distanza di nemmeno un anno da quelle dichiarazioni, la giustizia italiana è riuscita a colpire nel cuore una delle cosche più pericolose della zona, un importantissimo fatto che non può non scuotere la ragione e le motivazioni degli altri imprenditori. E così la pensa lo stesso Bongiorno, il quale, a seguito della condanna dei suoi tre estorsori, ha dichiarato che “quando gli imprenditori decidono di denunciare, lo stato fa la sua parte”. Magari non è sempre così, ma bisogna pure ammettere che casi come quello di Bongiorno non sono pochi e nemmeno troppo rari.

La realtà, a dire il vero, è che non bisognerebbe lasciare mai da soli imprenditori o semplici cittadini che decidono, con coraggio, di denunciare il pizzo e di dire basta a una pratica criminale che sta rovinando e ha rovinato non solo l’immagine, ma soprattutto lo sviluppo economico e sociale del nostro Paese.

Per fortuna, comunque, Bongiorno non è da solo. Con lui (ed erano presenti anche in tribunale nel giorno delle condanne) si sono schierate la stessa Confindustria, le associazioni antiracket e antiusura di Trapani, la FAI e il presidente onorario Tano Grasso, per non parlare di altre importantissime associazioni come LiberoFuturo e Addiopizzo. A tal proposito, proprio queste ultime, in una nota comune, hanno espresso il proprio parere soddisfatto e positivo sul buon esito del processo, affermando che “i mafiosi hanno commesso un grave errore perché non hanno considerato la posizione di Bongiorno che, oltre a far parte organica del nuovo corso di Confindustria, è notoriamente vicino al movimento antiracket”.

Insomma, denunciare è oggi più che mai un atto che non va nascosto né messo da parte. Denunciare è d’obbligo ed è uno dei gesti e delle azioni più importanti che si possano compiere per cercare di distruggere o almeno indebolire questo terribile male che è la mafia. Il gesto di Bongiorno, però, non deve rimanere soltanto  un gesto di coraggio o, cosa ancor più triste, qualcosa di raro e fine a se stesso: al contrario, deve essere chiaro il suo altissimo valore sociale e tutti noi dovremmo imparare ad apprezzarlo e promuoverlo. Perché se un gesto isolato diviene pratica comune, esso costituirà un potente ed efficace mezzo di lotta contro la criminalità organizzata.

Giovambattista Dato -ilmegafono.org