Nati nel 2004 a Bristol dall’estro di Andrew Hung e Benjamin John Power, i Fuck Buttons sanno esattamente quali “fottuti tasti” premere per rapirci. La loro origine è legata alla ricerca di una colonna sonora per il primo film di Hung: da allora, essi hanno saputo sperimentare con strumenti e giocattoli, cercati nei mercati per plasmare una musica fatta di rumori, un mix di suoni spesso familiari e stridenti. Incoraggiati dai Mogwai, con cui hanno inizialmente collaborato e il cui chitarrista ha prodotto il loro primo album, sono simili ma allo stesso tempo distanti da loro e dalla loro ricerca di pace e armonia.

Con i Fuck Buttons i pensieri diventano demoni e ci costringono a viaggi inattesi, lotte contro certezze da annientare e tattiche da rivedere, quasi in un impellente bisogno di scendere nelle tenebre per ristabilire la luce. Se siete stanchi dei cori e dei ritornelli, di mani da battere a tempo e rock ormai prevedibile e logorroico, provate ad aprire le orecchie e la mente a questa miscela esplosiva di noise, acid, house, rock psichedelico e sperimentale, e vi accorgerete che forse è proprio l’assenza di parole a permetterci di vivere appieno sensazioni ed emozioni.

Molti di voi li hanno ascoltati, probabilmente senza saperlo, nella cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Londra 2012, ma il mio suggerimento e che lo rifacciate ancora, tante e tante volte. Vi ritroverete a chiudere gli occhi e seguire i vostri pensieri che si piegano al flusso dei suoni, li vedrete scivolare via come fossero un fiume in cerca del mare.

Dopo le suggestioni da sogno di “Street Horrrsing” (2008, il loro primo album), dove la voce straziata ci catapultava in incubi angoscianti, in giungle inattese e catene di montaggio spersonalizzanti; dopo la sperimentazione forse troppo dance di “Tarot Sport” (2009), nel terzo e ultimo lavoro, “Slow Focus” (2013), i ritmi si fanno pieni, densi e coraggiosi. Il rapimento è immediato e la destinazione è sconosciuta, fuori da noi o forse solo da un mondo che non ci somiglia più.

Il merito di questo duo è risvegliarci alla fine, lasciandoci però il ricordo di un sogno o di un viaggio che ci verrà voglia di raccontare per la sua straordinarietà, intensità e realtà e, perché no, sperare che possa continuare la notte successiva.

FrankaZappa –ilmegafono.org