“Come Kabobo”, “un altro caso Kabobo”, “incubo Kabobo”: sono solo alcune espressioni usate in diversi titoli di giornali e telegiornali per dare notizia dell’atto folle di un uomo italiano che, nell’hinterland milanese, ha aggredito e accoltellato senza una ragione dei passanti, uccidendone uno e ferendone gravemente altri due. Ancora cronaca, nuovamente tragedie in una settimana terribile. A noi non interessano, però, i particolari e i dettagli che tanto esaltano gli spettatori, trasformandoli in poche ore in improvvisati criminologi, avvocati, giudici, poliziotti del Ris, che analizzano morbosamente il delitto, ne parlano di continuo, nei bar, negli uffici, nelle sale d’aspetto. A noi interessano il linguaggio e la maniera scorretta di usarlo.

Ci chiediamo, pertanto, per quale ragione si sia deciso di tirare in ballo un caso passato, o meglio, il nome o cognome dell’assassino di un fatto di cronaca passato. Si dirà che è per la somiglianza tra le due situazioni, d’accordo, ma perché usare ancora la sagoma di un assassino che, essendo in galera, non può più offendere? E perché non abbiamo assistito, stavolta, a tutto il clamore, alle vergognose semplificazioni e ai volgari sillogismi che hanno accompagnato i commenti su quella vicenda? A pensar male, il sospetto è che Kabobo sia stato trasformato nel feticcio dell’immigrato cattivo, dello straniero pericoloso che non ha il cervello a posto e che, in qualsiasi momento, potrebbe diventare letale e spietato. Come se fosse un avviso al popolo: “State attenti, che da LORO ti puoi aspettare questo e altro, in qualsiasi momento”.

La buona fede in questo caso proprio non esiste, è lontana anni luce. Perché, prima d’ora, non avevo mai sentito commentare un omicidio con un titolo riferito all’identità di un precedente killer. In occasione del delitto commesso dal cittadino ghanese, infatti, nessun giornale fece richiamo a casi passati, come ad esempio, per citarne uno, quello avvenuto a Palermo poco più di dieci anni prima. Come mai? Semplice, alla realtà si preferisce la logica della costruzione di un nemico che abbia tratti ben definiti, dunque un migrante, qualcuno che sia identificato, da anni di disinformazione e propaganda, come portatore di valori differenti dai nostri, che da subito vengono presentati come disvalori, predisposizioni alle cose peggiori.

Che sia un meccanismo conformista di difesa o l’espressione di un volgarissimo retroterra razzista, non importa; quel che risulta evidente è la disparità di trattamento, la differenza nel comunicare la notizia. Quale sarebbe questo “incubo Kabobo”? Qualcuno davvero pensa che il cittadino ghanese sia stato il primo essere umano a impazzire e uccidere senza una ragione il primo malcapitato? O magari crede pure che il folle scriteriato di Cinisello Balsamo abbia agito così solo per emulazione? Non se ne può più di tanta ignoranza, di questa continua ricerca di occasioni utili a replicare l’etichetta immigrato/delinquente.

Con il riferimento a Kabobo, i media hanno ottenuto il risultato di sminuire l’atto commesso dal deviante italiano, nascondendolo sotto quello commesso dallo straniero. E se si leggono i commenti sul web, si ha la dimostrazione di come i razzisti e gli idioti abbiano utilizzato anche questo episodio, nel quale l’immigrazione non c’entra proprio nulla, per vomitare il loro solito carico di bestialità e insulti nei confronti dei migranti. Un paradosso. Che però è fomentato dalla scorrettezza del linguaggio che i mass media (questa volta autonomamente, non spronati dalla politica) hanno utilizzato. In barba alle discussioni sterili sul politically correct e sulla responsabilità culturale, alle carte dei diritti che continuiamo a tenere come falsi totem, abbandonati e incompiuti.

Se la si smettesse di etnicizzare il crimine, di creare paure illogiche, di ignorare i dati sui reati in Italia, di usare in modo pessimo le parole, forse potremmo fare qualche passo in avanti, come cittadinanza, verso una maggiore civiltà. Perché alimentare la paura non aiuta, ma serve solo a ingrassare chi sulla sicurezza ci fa business, economico e politico, mentre invece la comprensione, la verità e la ragione aiuterebbero a distinguere, a vivere meglio, a interagire. In conclusione, sorge spontanea una domanda, a proposito di business politico: come mai la Lega e il suo nuovo “acutissimo” leader Salvini non sono andati a Cinisello Balsamo a fare banchetti e manifestazioni contro i criminali locali e a sostegno della sicurezza? Significa forse che, a loro parere, gli italiani sono legittimati a uccidere e che noi siamo chiamati ad accettare in silenzio?

Massimiliano Perna –ilmegafono.org