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Alla fine i dissidenti del Pd hanno deciso di fare un passo indietro. Dopo le tante polemiche, le frasi infelici, le reazioni, la marea agitata che ha attraversato il partito in queste settimane, sembra che tutto sia rientrato. La diplomazia ha fatto il suo corso, ci sono stati i chiarimenti, e gli “autosospesi” non si sospendono più. Personalmente continuerò a dormire la notte, perché tutta questa diatriba non mi ha appassionato per più di un paio di minuti. Ciò che penso del progetto riformatore di Renzi lo tengo per me, però c’è una cosa che non si può non notare, anzi sono due principi generali, che non costituiscono una regola, ma dovrebbero quantomeno far riflettere qualcuno: la coerenza e il buon senso.

Sia chiaro, ciascun partito si gestisce secondo procedure e regole interne, quindi, al di là che si possa essere contrari a certe logiche o a linee verticistiche, i suoi apparati sono liberi di assumere provvedimenti disciplinari o politici conseguenti a delle regole o ritenuti giusti. Nessuna voglia di entrare nel merito di questioni di partito o di correnti, semplicemente una riflessione. Fermo restando che nel Pd, tolto l’errore madornale di far montare questa vicenda rendendola un caso mediatico (forse un chiarimento interno immediato lo avrebbe evitato), alla fine non vi sono state epurazioni o fughe, non c’è dubbio che però la reazione di molti militanti e dello stesso Renzi sia stata un tantino scorbutica.

Al dissenso espresso da chi semplicemente non la pensa come il leader, si è risposto anteponendo la solita storia del 40% e ribadendo, con un pizzico di arroganza, che nessuno ha il potere di mettere veti. Un po’ strana come logica per un partito che nel suo nome annovera la parola “democratico”. Anche perché forse è ora di capire che quel 40% è un risultato importante sì, ma pur sempre frutto di un voto sulla politica europea, con sfumature talmente variabili da non poter essere utilizzato come una sorta di investitura popolare complessiva. Per quello ci sono le elezioni politiche, nelle quali gli italiani scelgono da chi voler essere governati. E questo a Renzi e ai suoi manca, perché non c’è stato alcun voto a stabilire la loro guida o legittimarli.

Pertanto, si festeggi pure una grande vittoria elettorale, ma la si smetta di tirarla fuori di fronte a ogni critica come fosse il tesserino di un pubblico ufficiale esibito a chi non si fida o protesta. Il buon senso suggerirebbe di ascoltare un po’ di più e di dialogare, senza sentirsi una divinità in terra, specialmente su questioni attinenti le riforme costituzionali. Seconda cosa: la coerenza non è un valore, ma non può nemmeno essere un principio da manovrare secondo le proprie convenienze.

Fa una strana impressione sentire il grillino Di Maio dare ragione a Renzi sul provvedimento di sostituzione di Mineo, perché “se in un partito o gruppo parlamentare la linea politica si decide a maggioranza e successivamente in parlamento un membro del gruppo vota in dissenso, addirittura rischiando con il suo voto di sabotare la linea decisa dalla maggioranza dei suoi colleghi, è giusto che vengano presi provvedimenti”. Posizione grillina arcinota, parole indubbiamente coerenti. E quei militanti, simpatizzanti, elettori e dirigenti Pd, oltre allo stesso Renzi, che urlavano dinnanzi alle sospensioni o epurazioni dei dissidenti a cinque stelle, parlando di assenza di democrazia? Tutti zitti?

Vero è che Mineo non è stato né espulso né sospeso, ma è stato rimosso, sostituito. Forma diversa, effetto identico. Ma incoerenza evidente. Un precedente che conterà. Anche perché, tra l’altro, non è bello che dia più fastidio un dissidente che un rinviato a giudizio per associazione a delinquere e corruzione. Così per qualcuno è assolutamente normale e pacifico che uno come Corradino Mineo non sia più in Commissione affari costituzionali, mentre uno come Roberto Formigoni sia presidente della Commissione agricoltura. De gustibus.