C’è questo sentimento popolare innovativo, pompato dalla grancassa mediatica del gossip, che muove verso la tuttologia. Dire la propria è un diritto costituzionale, ma per dire la propria e avere una diffusione bisognerebbe essere competenti. Frasi troppo brusche? Tranquilli, nessun attacco alla democrazia. Voglio farvi capire il punto di vista con un esempio, anzi due. Il primo me l’ha offerto su un piatto d’argento la trasmissione “Anno Uno”. Nella quarta puntata si parlava di liberalizzare, legalizzare (qualsiasi verbo va bene nel contesto caotico creatosi) le droghe (anche qui non preoccupatevi della definizione).

Lo si è fatto in tv, con l’intento di creare una discussione intorno a un tema (non specificato, ma prendiamolo come tale) che comunque non ha mai avuto la necessaria presenza all’interno del dibattito pubblico. Le argomentazioni addotte in quella sede, nel marasma delle discussioni per nulla moderate, suscitavano l’interesse e assumevano importanza per il pubblico degli stereotipi. Facili, gratuiti (anche psicologicamente), sempre a portata di mano per farsi due chiacchiere. Il problema è quando le due chiacchiere si fanno con l’intento di fare un servizio al pubblico.

Basta ascoltare cinque minuti della trasmissione per rendersi conto delle amenità pronunciate dai soloni presenti. Questa è cattiva informazione, con l’aggravante, etica, di non elevare mai il dibattito a questioni meno “famose”, meno discusse, forse più importanti (di esempi ce ne sono a bizzeffe a partire da statistiche serie). Il secondo esempio ce lo offrono centinaia di vicende giudiziarie che coinvolgono la politica. Abbiamo, tutti, la pretesa di capire complesse inchieste giudiziarie, ben prima dei gradi canonici di giudizio, col titolo di giornale o con il servizio di qualche risicato minuto di tg.

I programmi di approfondimento vedono spesso i soliti volti noti e mai nessuno che spieghi, noiosamente e proficuamente, non come stiano effettivamente le cose ma almeno il punto delle indagini. Fateci caso. Si parla di scandalo, di tangente, si usano parole forti (anche appopriatamente al contesto) senza spiegarne il significato. Il sospetto è che lo si faccia deliberatamente per l’audience. La realtà è che si crea, nell’opinione pubblica, una visione caricata delle vicende.

Gli unici che riescono a spiegare, a ripercorrere le situazioni, a metter dei puntini sulle giuste “i” ,sono i giornalisti di “Report”. Il ruolo ingrato che si sono caricati sulle spalle li porta a fare un programma difficile e in ciò utile. Anche la tv, se invece che usata come un soprammobile parlante fosse ascoltata, è un mezzo potente, per questo pericoloso, per questo, appunto, utile. Non vedo niente di male nel sentire, nei dettagli, una notizia.

Per 10, 13, 18 anni stiamo ad ascoltare qualcuno dietro una cattedra che spiega qualcosa e l’unico problema è sempre stata la noia, non la pretesa di saperne di più. Questo senza dover giungere a governi di professori o dittature di intellettuali. Basterebbe qualche volta tacere, ascoltare, pensare, per poi dire la propria. Si chiama consapevolezza, il resto è parlare a vanvera.

Penna Bianca -ilmegafono.org