Non voglio entrare nel merito delle decisioni assunte dai magistrati, ma di sicuro la vicenda di Erri De Luca presenta contorni quantomeno discutibili. L’intellettuale napoletano è stato rinviato a giudizio per le frasi pronunciate in alcune interviste, nelle quali aveva sostenuto che sarebbe stato giusto sabotare la Tav, in quanto opera nociva e inutile. Dichiarazioni che suscitarono polemiche, con lo scrittore che fu addirittura definito un “cattivo maestro”, funesto paragone che riporta ai terribili anni del terrorismo politico. Frasi, opinioni, dure e nette, che sono costate care. I magistrati, infatti, sono convinti che queste parole siano state la base per le operazioni di sabotaggio messe in atto contro il cantiere in Val di Susa. Istigazione a delinquere, questa è l’accusa.

Fermiamoci qui. Non andiamo oltre, sul piano della consistenza di questa accusa che ha portato al rinvio a giudizio, perché ci sarà un processo nel quale De Luca potrà difendersi. Un punto però va sottolineato: per quale ragione ogni forma di dissenso sulla Tav, qualsiasi critica, qualsiasi parola di condanna determina situazioni estreme come questa? Perché si decide che le parole di De Luca siano un reato, attribuendo alla sua oratoria il potere di fare proseliti e di ottenere l’obbedienza di un movimento che, già da prima dello schieramento aperto dello scrittore napoletano, era impegnato in uno scontro durissimo con le forze dell’ordine e con l’ottusità di una politica che, trasversalmente, ha scelto con arroganza di andare avanti con un progetto inutile, dannoso, dispendioso?

Non riesco proprio a capire come delle opinioni abbiano potuto istigare un gruppo già consapevole, cosciente, determinato. Uno dei pm ha sostenuto che De Luca “diceva che quelle cesoie servivano. È un purista della lingua e sa bene usare l’imperfetto. Si riferiva a un’azione passata mentre alcuni antagonisti stavano per andare a tagliare le reti. Lui dice che quell’azione deve continuare, è questo il senso di quell’imperfetto”. Questo è uno dei ragionamenti alla base del rinvio a giudizio e del processo che adesso dovrà accertare se si tratti davvero di istigazione a delinquere o della semplice espressione di opinioni.

Perplesso, ecco come mi sento se metto a fuoco quello che si sta verificando. Perché non posso credere che in questo Paese si spendano soldi e tempo per processare un intellettuale per delle parole, invece di indagare le infiltrazioni e le speculazioni eventualmente nascoste dentro quella che è una violenza ambientale ed economica nei confronti di un intero territorio. Non posso credere che invece di ascoltare le ragioni di quei cittadini che stanno conducendo da anni una lotta per il diritto alla propria salute e all’autodeterminazione territoriale, si parli di Tav principalmente per episodi di violenza (ovviamente condannabili) o per fatti come quello di De Luca, che sembrano essere strumentali a chi vuole scoraggiare il dissenso e la libertà di pensiero. Trasversalmente, è sempre meglio ricordarlo.

Ma ciò che più di ogni altra cosa, in tutta questa vicenda, assume contorni a dir poco grotteschi è la disparità di trattamento relativamente al reato di istigazione a delinquere. Come si potrebbe spiegare, per esempio a un bambino, che un intellettuale che ritiene giusto sabotare una mostruosità viene rinviato a giudizio, mentre consiglieri comunali, sindaci, deputati regionali, parlamentari italiani ed europei, ex ministri, ex presidenti del Consiglio, in questi anni, hanno potuto dire di tutto, istigare alla pulizia etnica, alla violenza, all’omicidio, al mitra sui giornalisti, alla violenza sessuale, all’aggressione fisica e tanto altro, senza che mai vi fosse un rinvio a giudizio e, spesso, nemmeno una denuncia?

Chissà se a tutti coloro che invitavano a non pagare le tasse, con la scusa della Roma ladrona, è mai arrivato un rinvio a giudizio per istigazione all’evasione fiscale. Evidentemente la Tav e un recinto divelto sono più irritanti di un Paese in ginocchio o di un pestaggio nei confronti di un migrante o un linciaggio nei confronti di un romeno, che sono le conseguenze delle “istigazioni” compiute da molti politici, a ogni livello. Le opinioni, a quanto pare, hanno un peso diverso, quando a esprimerle è un pensatore. Almeno in questo caso, ci si ricorda del peso della cultura in Italia e si dà il giusto riconoscimento agli intellettuali. Per tale ragione, a Erri De Luca esprimo la mia personale solidarietà, sperando che questo processo si chiuda al meglio e che una vicenda così assurda non si ripeta mai più.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org