Se qualcuno permette a un criminale di avere sconti immeritati e di poter tornare attivo, anche dal carcere, riorganizzando il suo clan, colpito da arresti e confische, le conseguenze sono ovviamente negative. Soprattutto perché se poi qualcun altro si oppone e cerca di ristabilire la situazione, riportando un po’ di giustizia, naturalmente finisce per trovarsi in pericolo. La famiglia mafiosa di Aldo Ercolano, boss catanese a capo del clan, legato a Nitto Santapaola, avrebbe un piano per uccidere Claudio Fava, vice-presidente della Commissione parlamentare antimafia. Claudio è una delle menti più lucide e acute della storia del movimento antimafia italiano, impegnato nella lotta alla criminalità a tutti i livelli sin dalla giovane età, quando insieme al padre, il grande intellettuale siciliano Pippo Fava, e ad un gruppo di giovani dalla schiena dritta, diede vita al giornale I Siciliani, vera icona del giornalismo libero e indipendente dell’isola negli anni ’80.

Un giornale di inchiesta che dava fastidio, pagine che denunciavano e svelavano quello che si nascondeva nel tessuto corrotto della Sicilia e dell’Italia di allora. Denunce terribilmente attuali, quasi dei trattati, dei manuali su quello che è il rapporto tra mafia e potere che oggi sono ancora più che validi. Un’esperienza generosa, forte, esaltante che fu segnata dall’assassinio di Pippo Fava, ucciso proprio da Aldo Ercolano e Maurizio Avola, su ordine di Nitto Santapaola. Una vicenda che ha portato Claudio, a soli ventisette anni, a doversi sobbarcare pressioni e responsabilità, come quella di un giornale che doveva resistere e cercare di non chiudere nonostante le difficoltà economiche proprie di una testata indipendente.

Ma soprattutto a combattere la battaglia durissima contro una magistratura compromessa, che indagava sulla famiglia e sul privato di Pippo Fava e dava adito alle insinuazioni viscide di un quotidiano, La Sicilia, che con il suo editore e una delle sue firme più lugubri spruzzava fango e inchiostro sulla memoria del direttore de I Siciliani, parlando di debiti, di motivi passionali, escludendo da subito, quando ancora il sangue era impresso sul selciato, che fosse stata la mafia a punire Fava per le sue denunce sui giornali, a teatro, ma anche in tv, come in una memorabile intervista rilasciata a Enzo Biagi due settimane prima di essere ucciso. Una storia infinita, quella tra la famiglia Fava, da un lato, e gli Ercolano e l’editore de La Sicilia, dall’altro.

In molte occasioni, infatti, il quotidiano catanese ha mostrato reverenza nei confronti della famiglia mafiosa, come nel caso di un “coccodrillo”, un articolo di commiato nei confronti di Pippo Ercolano, padre di Aldo, con tanto di necrologi pubblicati sulle proprie pagine, scelta opposta rispetto a quando i familiari di Pippo Fava, alla sua morte, si videro rifiutare la pubblicazione. Per non parlare degli anniversari e delle iniziative per ricordare Fava, che non hanno mai trovato spazio sul giornale di Ciancio, e di tanti altri episodi che sono stati raccontati da giornalisti e da altre testate (cito ad esempio questo articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano). Claudio Fava ha continuato a combattere contro tutto questo, nel nome del padre e della reciproca idea di libertà.

Lo ha fatto in Sicilia, ha proseguito altrove, a Roma come a Bruxelles, lo ha fatto anche scrivendo, raccontando, continuando a denunciare, con nomi e cognomi, e a spiegare con competenza ed eccelsa qualità intellettuale cosa sia davvero la mafia. Ha vissuto sotto la costante minaccia dei clan, ha subito due agguati che, per casualità fortuite, non sono riusciti. Adesso, da vicepresidente della Commissione antimafia, sta lavorando bene su più fronti e soprattutto vigila che non si commettano oscenità istituzionali oltre che giuridiche, come quella di revocare, circa un mese fa, il regime di 41bis al boss Aldo Ercolano. Una scelta che aveva creato allarme, perché il boss, da detenuto comune, aveva così l’occasione di riorganizzare il suo clan, messo in crisi dalle operazioni di polizia, che oltre agli arresti hanno portato a confische sostanziose.

Claudio Fava, allora, che conosce benissimo il sistema di potere degli Ercolano, i loro rapporti, le coperture, ha alzato la voce e sollecitato chi di dovere a rivedere una decisione incomprensibile, fino a quando il 41bis è stato ripristinato. E, come era ovvio, l’intervento non è stato gradito e suscitando la reazione della famiglia mafiosa. Adesso Claudio Fava si trova di nuovo sotto scorta, ancora una volta minacciato.

Personalmente, oltre alla solidarietà totale, mia e della nostra redazione, a Claudio, che, indipendentemente dalle scelte politiche, stimo e considero uno degli intellettuali più importanti di questa nazione (se non lo conoscete, leggete ciò che scrive e ha scritto e ascoltatelo parlare, così potrete trovar ragione a questa affermazione), ritengo fondamentale che non si dimentichino mai i nomi dei criminali protagonisti di questa storia, quelli che hanno ucciso, sparato e che oggi minacciano, ma anche quelli dei complici morali, ossia coloro che hanno negato, taciuto, distorto i fatti, oltraggiato la memoria e perfino dato voce e mostrato morbida riverenza agli assassini. Perché soltanto non dimenticando mai si potrà evitare che Claudio Fava si trovi solo e che qualcuno, un giorno, possa provare a rifarsi una verginità o riuscire a ottenere sconti ed encomi, sperando nella scarsa memoria delle persone, dei cittadini. E mettiamocelo bene in testa: questo dipende solo da noi. Da tutti noi.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org