Tra le sezioni di un quotidiano italiano, dentro le righe meno visibili, lontane dalle notizie strillate della politica nostrana o quelle lugubri della cronaca, si nascondono fatti che, nonostante l’angoscia, offrono il volto limpido dell’umanità che resiste. E ti fanno pensare. Ti ritrovi a guardare la Svezia dalla scrivania di casa tua, pochi istanti dopo aver sputato fiele sulle parole dei vari Salvini, Maroni, Grillo e altri. Ridisegni mentalmente il profilo di una nazione nordica riconosciuta come esempio di una civiltà a cui, al momento, nemmeno ci speriamo di potere un giorno rassomigliare. Eppure scopri che perfino lì, nella patria del welfare, esistono leggi spietate, cavilli insolenti, burocrazie grigie.

Accade tutto in un viaggio immobile dentro una vicenda umana, nel senso più completo della parola e del concetto che la riempie. Accade tutto, realmente, dentro un aereo in partenza da una cittadina svedese, Ostersund, diretto a Stoccolma e in coincidenza con un volo per l’Iran. Tra i passeggeri c’è un rifugiato curdo, Ghader Ghalamere. Vive in Svezia da anni, ha moglie e figli, ma per un problema burocratico, un cavillo legale, è stato espulso e costretto a rimpatriare, attraverso quel volo, in Iran, dove rischierebbe torture e la condanna a morte.

I passeggeri apprendono la situazione da alcuni amici e familiari che accompagnano il rifugiato. E scelgono. Proprio così, scelgono. Decidono di essere umani, di non restare indifferenti, infischiandosene delle conseguenze del loro gesto. Si schierano.

Mentre in Italia si assiste pressoché inermi alle violazioni di diritti essenziali e nelle aree del lavoro stagionale si tace nuovamente sulla schiavitù del caporalato, mentre i CIE continuano indisturbati a lucrare sulla pelle, sulla dignità, sulla vita dei richiedenti asilo, mentre pezzi delle istituzioni, con i loro ridicoli fazzoletti verdi, strumentalizzano la sentenza di condanna a venti anni di carcere nei confronti di uno psicopatico pluriomicida che, per puro caso, stavolta è di origine africana e di pelle nera. Mentre qui avviene tutto questo, in una cittadina della Svezia, a migliaia di chilometri da Salvini, Maroni, Grillo, da chi li sostiene, dagli xenofobi e dagli ignoranti, un aereo non riesce a partire perché i passeggeri si rifiutano di allacciare le cinture di sicurezza.

Non vogliono essere complici di una deportazione, di un atto ingiusto, umanamente fuorilegge, anche se dalla legge statale probabilmente previsto. C’è l’umanità a reclamare la sua priorità. C’è il senso di giustizia a cui obbedire. Quell’uomo è vittima di un’ingiustizia madornale che non si può accettare. Così non si decolla. Si rinuncia al volo, al biglietto, a tutto. Non valgono niente gli interessi individuali di fronte alla vita e alla dignità di un uomo. Di fronte alla salvezza da una violenza di Stato.

Questa è la lezione di un popolo che non è necessariamente diverso dagli altri, che è cittadinanza di una nazione che ha i suoi pregi e i suoi difetti, le sue virtù e le sue crudeltà. Una nazione che accoglie ma che anche respinge, aperta ma anche severa e rigida. Un popolo, però, che ha il coraggio di opporsi, compatto, dinnanzi all’oscenità di un cavillo, di un atto ignobile. Un’opposizione che è andata oltre il blocco del decollo e che si è trasformata, come racconta il giornale inglese The Independent, in un movimento a difesa di Ghader Ghalamere (attualmente rinchiuso in un centro per migranti), che sta organizzando due manifestazioni per impedirne il rimpatrio.

Sanna Vestin, presidente della Rete svedese per i Rifugiati (FARR), commentando positivamente il fatto che tante persone si siano schierate dalla parte dell’esule curdo, ha pronunciato una frase che in tanti dovrebbero tatuarsi addosso, appendere in camera, sul frigo, sopra il televisore in salotto, ovunque ciò garantisca di tenerla bene a mente: “La Svezia si è impegnata a difendere i diritti dei bambini e il diritto di asilo. Quando le autorità non possono farlo da sole, altri devono assumersi la responsabilità, quando se ne ha la possibilità”.

E la possibilità di non essere complici, indifferenti, inerti, ingiusti, almeno in condizioni di pace esiste sempre. Possiamo scegliere. Ecco, questa storia snobbata dai principali media italiani, per di più nella settimana del terzo anniversario della morte di Vittorio Arrigoni, ci insegna una cosa importante: che non esistono alibi indistruttibili di fronte alla giustizia e alla possibilità di restare umani. Per strada come dentro un aereo.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org