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Una volta un professore universitario, con me relatore a un convegno sulla politica dell’ambiente e sui modelli di sviluppo sostenibili in Sicilia, commentò il video introduttivo scelto dagli studenti (lo sketch di Ficarra e Picone sull’essere siciliani, “Io mi vergogno di…”, “Io sono orgoglioso di…”, guarda qui) dicendo che, anche se il video vuole dare un messaggio positivo, contiene molte cose non vere, generalizzazioni, giudizi semplificati e lasciati così, senza alcun approfondimento. Gli studenti e le altre persone presenti ascoltavano quel docente che spiegava, con argomenti a supporto, come bisogna cominciare anche a non ridere di certe cose, di certi stereotipi che, se per noi siciliani sono ridicoli e divertenti, visto che sappiamo bene quanto è caricatura e quanto non lo è, per altri diventano verità assoluta, magari confermata da due, tre o dieci persone “di quel genere” incontrati nella vita, nella propria città o durante un viaggio.

Rimasi colpito da quella che fu una lezione che condividevo intimamente. Non pensavo che fosse possibile da un semplice e breve video introduttivo ricavare immediatamente un lungo ragionamento su ciò che inconsapevolmente rende molti di noi complici di quelle etichette e di quelle generalizzazioni che ci appiccicano, anche quando le intenzioni sono opposte. In effetti, accade spesso. Perché si ride davanti agli sketch o ai film che giocano sulla lentezza meridionale, sullo stereotipo del lavoratore pigro e sfaticato, qualcuno si diverte sui video pieni di strafalcioni di persone semplici che magari sbagliano qualche verbo o storpiano qualche parola. Si ride per le battute sull’attaccamento alla propria terra, per quelle relative all’assenza di regole o alla facilità di aggirarle. Tutto fa brodo. Il pupazzo, il clown è sempre lo stesso: il meridionale, quello che “puoi scommetterci che è così”, perché “giù è così, si sa”. A dare il giudizio sono gli stessi che poi, quando chiedi se hanno mai vissuto al sud, ti rispondono di no, balbettando.

Ultimamente, in rete, soprattutto su Facebook, sta spopolando una parodia sui “terroni” che vivono lontano dalla propria terra natale. Un concentrato di battute e scenari sul linguaggio, le presunte abitudini e i presunti comportamenti dei meridionali che studiano o lavorano al nord. Post di ogni tipo, che raccolgono il consenso e il divertimento di centinaia di persone, sia meridionali che, soprattutto, settentrionali. A tal punto che adesso stanno anche organizzando una festa a base di cibo e danze tipiche, promuovendola con un video che raccoglie un decalogo utile a riconoscere un terrone. Dentro questo decalogo, ovviamente, ci sono i soliti stereotipi del mangiar molto, del friggere tutto disturbando i coinquilini, della famiglia numerosissima (compresi lontani parenti e amici più stretti) che viene interpellata per intero ogni volta che si telefona, dei genitori con cui si parla solo di cibo e di meteo, del “vizio” di fare le vacanze estive sempre al sud e via dicendo.

Andando a leggere i commenti al video, ci sono quelli che si sono (giustamente, a mio modo di vedere) risentiti, quelli che si sono divertiti, altri (settentrionali) che dicono che i terroni sono tutti così e che un terrone lo riconosci subito da una serie di caratteristiche offensive che non è il caso qui di ripetere, infine quelli che ci danno dei permalosi, affibbiandoci anche questa tipicità. Il problema è uno, sempre e solo uno: una terribile ignoranza che non ha confini né geografie riconoscibili. Ignoranza storica unita alla possibilità di giocare su un tema facilmente identificabile, certi di incontrare la risata facile degli italiani di oggi, sempre meno colti e di gusti meno raffinati persino per quel che riguarda la comicità.

Non ci sarebbe nulla di male in un Paese normale, dove ognuno prende in giro l’altro. Il problema è che questo è il Paese dove esiste una forza politica, la Lega Nord, che quegli stereotipi li ha trasformati in voto. Un Paese nel quale quelle battute, gli epiteti, gli oltraggi si sono trasformati in comportamenti che nel ’900 hanno mortificato, umiliato centinaia di migliaia di emigrati interni, che hanno dovuto soffrire, lavorando in un contesto ostile che, mentre li sfruttava, costruiva un’enciclopedia di insulti per mutarla in realtà assodata. Che oggi, in chiave comica e meno dolorosa, resiste ancora.

Personalmente credo che ciò non dovrebbe far ridere noi meridionali in trasferta, che abbiamo lasciato una terra nel quale è normale voler tornare almeno in vacanza (ma questo chi è cresciuto non troppo lontano dalle famiglie o nella propria città natale non può capirlo), una terra che è parte delle nostre radici e dei nostri ricordi e che è fatta anche di città vivibili, di famiglie piene di cultura che al telefono parlano di attualità, letteratura, economia e non di cibo e meteo. Che le espressioni dialettali o di matrice regionale sono un tratto che vale per tutte le regioni (o pensate che l’articolo davanti al nome sia corretto o più figo?). Soprattutto dovremmo rilanciare e far notare che i meridionali, in milioni, sono andati via a lavorare e spaccarsi la schiena ovunque, eccellendo per impegno, abnegazione, creatività, intelligenza, onestà. Adattandosi facilmente ad ambienti ostili, con pazienza e ostinazione.

Dovremmo far notare, poi, che i vizi affibbiati alle aree del Sud, come corruzione, infiltrazioni mafiose, clientelismo e così via, sono identici a quelli delle aree del Nord, come raccontano inchieste, operazioni di polizia, condanne. Dovremmo ricordare che, a differenza di chi ci accusa e offende, noi a certi sistemi ci siamo opposti, abbiamo avuto martiri isolati e uccisi per responsabilità di tutto il Paese, non solo di una parte. Probabilmente ci giudicate permalosi perché rimarchiamo queste cose, questi concetti, ma è un fatto normale, perché a differenza vostra abbiamo vissuto in entrambe le parti della nazione e quindi abbiamo chiara la percezione di ciò che è caricatura, irritandoci se una stronzata viene spacciata per verità da gente che ha vissuto sempre e solo al di sopra del Tevere.

E, sia chiaro, questa irritazione la dirigo in egual misura ai meridionali, che nelle parole, nelle frasi, nei racconti superficiali, forse per un naturale quanto idiota desiderio di essere accettati e integrati, veicolano queste credenze finendo per confermarle. Se amate le vostre terre di origine, non tacetene i problemi e le tante cose negative, ma per favore non spacciatele per caratteristiche tipiche, individuabili geograficamente o etnicamente. Non semplificate mai. Perché chi vi ascolta, spesso, non ha tanta voglia di approfondire. E vedrà il Sud solo attraverso le vostre parole. Prive di amore. E di rispetto.