Il 17 marzo del 2011 il Consiglio di sicurezza della Nazioni Unite, su proposta di Stati Uniti, Franca, Regno Unito e Libano adotta la misura “Risoluzione 1973”. Risoluzione che prevede l’istituzione di una no-fly zone sulla Libia e un “immediato cessare del fuoco”, oltre al permesso di usare qualsiasi mezzo per proteggere i civili. Da un mese, una rivolta contro il regime di Mu’ammar Gheddafi tiene in ostaggio la Libia. Il conflitto termina, come sappiamo, con la morte del dittatore libico, il 21 ottobre 2011. Tra i soli civili si registrano 50.000 perdite. Un massacro.

La narrazione dietro il conflitto è un classico di Hollywood: un gruppo di ribelli si schiera contro il regime di un dittatore musulmano dipinto come il diavolo sceso in terra. Gli occidentali, dalla parte del progresso, intervengono con il fine di instaurare una democrazia e liberare un popolo oppresso. Come tutte le narrazioni, vi sono delle verità, ma vi sono anche grandi buchi neri.

Mu’ammar Gheddafi non era certo un filantropo democratico ma un dittatore militare. Già odiato dalla comunità internazionale per le sue politiche estere anti-israeliane e soprattutto anti-americane. Negli anni ’80 è finanziatore del Settembre Nero palestinese e dell’IRA irlandese e mandante di più attentati come la “strage Lockerbie” e i missili contro Lampedusa: Gheddafi porta il suo paese nella famosa lista americana degli “stati canaglia”, dalla quale uscirà solo in seguito, grazie a G. W. Bush, per via dell’allontanamento delle sue politiche dall’integralismo arabo.

Gheddafi, più che un oppressore, era una pedina internazionale molto attiva: tra ONU e OPEC, Lega araba e Unione Africana, l’amico di Silvio Berlusconi ha sempre avuto un ruolo attivo nelle relazioni internazionali. Oltre a finanziare il terrorismo internazionale anti-occidentale ha spesso finanziato anche quote azionarie di società italiane (Finmeccanica, Juventus, ENI, società del gruppo FIAT) ed estere. Dopo la sua morte è stato stimato che fosse l’ottavo uomo più ricco al mondo.

Torniamo invece alla guerra civile del 2011, le sue cause e i suoi attori. La primavera del 2011 è nota a tutti per essere stata la famosa “Primavera Araba”: come Tunisia ed Egitto, anche la vicina Libia, il 17 febbraio dello stesso anno vede lo scoppio di rivolte nelle sue principali città. I diritti umani sono il leitmotiv della rivolta, e difatti è l’arresto di un avvocato e blogger a scatenare le prime insurrezioni a Bengasi. Pochi giorni dopo nasce il CNT, il Consiglio nazionale di transizione. Sarà l’organo che guiderà la guerra civile.

La Libia è anche il secondo produttore di petrolio dell’Africa, dopo la Nigeria. Unanime, la comunità internazionale interviene, lasciando come protagonista però il CNT, il quale si aggiudica anche l’uccisione stessa del dittatore, messa però in dubbio da successive rivelazioni. Proprio un membro del CNT, Mahmud Gibril, asserisce infatti che sia stato un agente dei servizi segreti francesi a dare “l’estrema unzione” all’inventore, ed esportatore, del Bunga-Bunga.

Mu’ammar Gheddafi aveva relazioni con molti capi di stato all’epoca: oltre al famoso rapporto d’amicizia con Silvio Berlusconi, anche Nicolas Sarkozy si dice ebbe contatti economici per presunte cifre che avrebbero finanziato la sua campagna elettorale del 2007. La vicenda non è chiara e a dare la notizia fu un sito d’informazione francese, Mediapart. Diffamazione o meno, la figura Gheddafi sapeva intrattenere relazioni e investiva all’estero.

Evitando di scadere nel gossip e rientrando nella nostra analisi politica, possiamo dire che la gloriosa primavera araba non è stata così pura e rivoluzionaria, anzi, spesso era spalleggiata da forze occidentali (vedi anche l’Egitto), e come non ricordare la passerella internazionale nei mesi antecedenti alla risoluzione del conflitto? Sarkozy e Cameron visitano a settembre del 2011 Tripoli, la capitale, mentre gli USA mandano l’ex sfidante di Obama, il senatore McCain, a visitare i ribelli libici. Il tutto durante un conflitto che è stato storicamente chiamato “civile”.

Un anno dopo, nel settembre del 2012, muore in un attentato, sul quale non è stata ancora fatta piena luce, l’ambasciatore americano Christopher Stevens. Avvenne durante una manifestazione, una delle tante, data la situazione di totale ingovernabilità del paese.

Tutto questo non per essere complottisti o per perderci in velleitarie discussioni su presunte relazioni internazionali o strategie globaliste, ma solo per sottolineare che, a due anni dal conflitto, la Libia è in totale caos civile e sociale. Un rapporto di Amnesty International, a due anni dal conflitto, mostra come il paese sia di fatto in mano a milizie che continuano a seminare terrore. 65000 sfollati e almeno 1300 dispersi Tawargha, una comunità accusata di aver sostenuto il regime del colonello. Insieme a questa comunità tanti altri gruppi sono al momento vittime di persecuzioni e allontanamento dalle loro case, arrestati e processati sommariamente.

Una crisi umanitaria. L’ennesima crisi scaturita a seguito di un conflitto che portava con sé parole come “diritti umani” e “democrazia”. John Lennon disse che “combattere per la pace è come far l’amore per la verginità”: ai suoi tempi era difficile dire che si andava in Vietnam in nome del progresso, oggi a quanto pare si può.

 Italo Angelo Petrone -ilmegafono.org