Di natura non sono un pessimista, anzi la speranza è qualcosa che mi accompagna sempre, andandosene a braccetto con gli ideali, tuttavia la situazione attuale italiana mi mette i brividi. Non solo per il disordine che un nugolo di esaltati, sotto la regia di qualcuno che spera in pericolosi ritorni al passato, sta creando in ogni città, ma anche per la debolezza di una politica che non riesce a produrre nulla che non sia una risposta timorosa a chi attacca e minaccia. Dinnanzi agli assalti delle tante opposizioni, dentro e fuori il parlamento, il governo risponde in maniera tristemente impacciata e maldestra, senza mostrare la forza e la fermezza di chi dovrebbe saper gestire la situazione e mantenere salde le redini di un Paese che invece slitta e rischia di deragliare.

L’ultimo atto è l’annuncio fatto da Letta circa l’imminente avvio dell’iter per l’abolizione (graduale) del finanziamento pubblico ai partiti. Una decisione che sembra un tentativo, abbastanza evidente, di placare la piazza, di rispondere ai prolungati e insistenti attacchi provenienti da più parti sui costi della politica e dei partiti.

Sarò impopolare, ma credo che, seppur necessitante di un sostanziale aggiustamento e di una riduzione ingente degli importi, il finanziamento pubblico ai partiti non vada eliminato. Vero è che nel 1993, nel clima di sfiducia dovuto a Tangentopoli, il popolo italiano, con una percentuale quasi plebiscitaria, aveva votato per l’abolizione, ma è altrettanto vero che poi l’istituto è stato immediatamente e nuovamente introdotto, in varie forme, attraverso una serie di leggi e riforme successive. Pertanto, oggi, non ha senso rifarsi ancora al referendum di venti anni fa, seppure la questione degli sprechi e dell’uso che i partiti fanno dei nostri soldi sia aperta e attuale.

In ogni caso, al di là del fatto che una malattia o una disfunzione non si cura uccidendo il malato e che basterebbe inserire meccanismi severi di controllo sulle spese, restringere il campo di utilizzo e attivare le leve di sanzioni durissime nel caso di distorsioni o truffe, il punto fondamentale è che tale risposta di Letta al populismo dei suoi più agguerriti avversari, in un momento difficile per la tenuta democratica del Paese, è strategicamente inutile e parimenti populista (che sia già l’effetto Renzi?). Perchè questo istituto umiliato e deviato dal degrado della politica italiana è comunque uno strumento di democrazia, senza il quale solo ed esclusivamente i partiti finanziati da grossi capitali privati potrebbero partecipare alla vita democratica.

Ma di quale democrazia parliamo? Di quella che stiamo lasciando smantellare pezzo per pezzo? E, si badi, non solo dalla vecchia politica, ma anche dalle “novità” che la società italiana produce e che oggi inneggiano al colpo di Stato, usano cifre linguistiche violente, si permettono di riproporre punizioni o liste pubbliche contro chi ha il solo difetto di non obbedire e di criticare. Adesso ci si mettono anche le paventate alleanze tra Berlusconi e Grillo (vedi la strategica convergenza sull’emendamento alla Legge di Stabilità) a mostrare con evidenza il pericolo di slittamento a destra, la peggiore destra, di un’Italia che sembra non imparare mai dalla sua storia. Non sono un pessimista, ma la preoccupazione è tanta. Perché a volte le coincidenze puzzano di disegno artificiale, e chissà che non sia una coincidenza quella tra la decadenza di Berlusconi e l’invasione di strade e piazze italiane da parte di gruppi guidati da personaggi discutibili, principalmente di estrema destra.

Personalmente credo che dell’allarme si stiano accorgendo in pochi. E in pochi stiano ragionando sul fatto che è curioso e sospetto che la guerra al Parlamento la stiano facendo proprio ora che vi sono entrati cittadini estranei alla politica e tantissimi giovani, circondati da un entusiasmo quasi orgiastico, lasciando fuori molti vecchi marpioni e qualche celebre pregiudicato. Altrettanto sospetto, oltre che irragionevole, è che a questo coro di odio nei confronti del Parlamento stia partecipando dall’esterno chi nelle camere ha i propri rappresentanti, le proprie teste di ponte. Il problema di fondo, comunque, è il vuoto di una sinistra stritolata dall’ormai definitivo spostamento del Pd verso un centro moderato e liberista e dall’anacronismo patetico di gente che, pur mantenendo intatti degli ideali che non sono di certo superati, non ha ancora imparato a stigmatizzare l’arroganza volgare e la debolezza dei parolai leader a cui hanno affidato ogni speranza (vedi Sel con il caso Vendola-Ilva).

Da troppo tempo, in Italia, manca l’argine da frapporre, da sinistra, a questa onda melmosa che avanza, mancano gli intellettuali schierati sul campo. Ci si affida, come sempre, all’ennesimo salvatore della patria, coerentemente con l’ormai definitiva personalizzazione della politica nazionale, che appare come una proiezione in grande degli scenari tipici dei contesti comunali. Non a caso, l’ultimo prodotto di “salvatore della patria” adesso sembra essere Matteo Renzi, un sindaco per l’appunto, un conservatore, un moderato dalle posizioni spesso retrograde, molto furbo dialetticamente, bravissimo a far respirare profumo di rottura, ma nei fatti pronto ai peggiori compromessi, non molto dissimili a quelli dei suoi bersagli da rottamare.

Basti pensare che, subito dopo le elezioni, fu tra i primi a spingere per un accordo di governo con il Pdl. E basti ricordare, come esempio, che gli aderenti alla sua corrente, a Siracusa (e non solo), qualche mese fa, hanno già dato prova di non avere troppo pelo sullo stomaco visto che, durante il ballottaggio, non hanno esitato ad accettare il sostegno e i voti dei nemici di sempre. Qualcuno chiede tempo, dice che Renzi è appena arrivato, che non è in Parlamento (un altro che ha giocato facile in questi mesi). Io rispondo che si potrà anche aspettare, sarà pure appena arrivato alla guida del Pd, ma parla e si fa vedere ovunque da qualche anno, permettendoci di conoscerne idee e visioni del mondo. E le premesse non appaiono rassicuranti.

Di sicuro, mentre si discute di elezioni o non elezioni, di fiducia, di finanziamento pubblico, di leader da designare, di primarie, c’è chi sta pensando di marciare su Roma e c’è chi (dalla sua posizione anomala di pregiudicato/condannato/ex premier/capo ciurma) chiama il suo popolo a raccolta e propone alleanze sfacciate. L’impressione è che stiamo precipitando, ma guai a dirlo forte, che qualcuno, soprattutto a sinistra, si potrebbe svegliare.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org