Quando ho appreso la notizia, quella terribile notizia che era nell’aria da tempo ma che si sperava sempre di poter rinviare, stavo impacchettando il nuovo numero di questo settimanale. Lo so che a 95 anni e con la malattia di mezzo è naturale che la morte diventi una eventualità attesa, ma quando si tratta di Nelson Mandela tutti i ragionamenti vengono soppiantati dalla speranza che anche il tempo possa rinunciare al suo corso e fermarsi, in segno di rispetto e di venerazione dinnanzi a un uomo che ha accarezzato un secolo con la sua mano forte, combattiva e al contempo dolce. Quando se ne va un uomo di pace come Mandela, è impossibile obbedire a regole e tempi di impaginazione, non ce la fai, perché dentro di te ci sono parole, memorie, letture, pezzi di storia che si muovono, si mescolano al sangue che hai nutrito con l’educazione, con quegli anticorpi che dal profondo sud del mondo ti proteggevano dagli orrori e dall’errore di una indifferenza che come essere umano non puoi permetterti.

E allora scrivi perché Madiba non è uno qualunque, non è nemmeno un personaggio da triste coccodrillo gravido di retorica. Non è la sua storia che invade queste righe, la sua biografia asciutta e ricca di date ed eventi fondamentali. No, perché Madiba è andato oltre la sua stessa storia, la sua battaglia per il Sudafrica libero, la sua lotta coraggiosa all’Apartheid, a quello che rimane uno degli orrori più atroci che l’umanità abbia mai compiuto. Egli è arrivato ovunque, ha incarnato il riscatto che un intero continente, quello africano, sogna ancora, è finito nei pensieri e nelle scelte di tutti coloro che combattono, in ogni parte del mondo, contro l’ingiustizia, le discriminazioni, il razzismo. Madiba ci è entrato nelle vene, ha diretto il cuore, accompagnato la sofferenza, sollecitato l’indignazione, stimolato la risposta e il risveglio in tutti coloro che lo hanno ascoltato, che ne hanno assaggiato con occhi, orecchie e anima il messaggio, l’esempio.

Come un Cristo moderno, egli è stato il simbolo (e lo è ancora) della speranza, della possibilità per ciascun uomo dotato di cuore e idee di ribellarsi all’orrore, di ripudiare l’inferno camminandoci dentro e resistendo alle fiamme dell’ingiustizia e della violenza. Sapere che ci fosse Mandela, essere consci della sua esistenza, della sua possibilità di esprimersi, di continuare a parlare con il suo popolo e con tutti noi, anche se lontani, è sempre stato rassicurante, un punto di riferimento fermo ed esemplare di fronte alle infinite instabilità politiche e alle oscenità della violenza che insanguina il mondo, di fronte alle discriminazioni che oltraggiano l’umanità sotto il nostro balcone, dietro l’angolo delle nostre strade illuminate dalle vetrine che vendono di tutto, sirene impietose che ti invitano a comprare senza badare troppo alla miseria che è sdraiata appena fuori da quelle vie, senza pensare allo sfruttamento che è nascosto nel retrobottega.

Madiba è un padre, un uomo fiero dallo sguardo dolce e dalla mano forte, mi ha educato alla conoscenza, attraverso la sua storia, mi ha permesso di guardarlo negli occhi e di ritrovarmelo accanto in tante occasioni, a darmi le risposte giuste, le indicazioni migliori. Mi ha fatto comprendere quanto sia subdolo e infame il razzismo, quanto sia vicino a noi, quanto sia facile riconoscerlo anche davanti a chi lo nega con convinzione. Madiba è dentro ognuno di noi, dentro la pelle martoriata di Jerry Essan Masslo, rifugiato sudafricano proveniente dalla sua stessa zona, oppositore dell’apartheid, ucciso da quattro balordi razzisti a Villa Literno, in Campania, il 24 agosto 1989, in un’Italia che cominciava a scoprire la propria ignobile fisionomia, quella nascosta dietro gli agrumeti e le piante di pomodoro, nel buio pesto delle campagne, dove uomini pieni di dignità lavoravano per sopravvivere, e dei casolari dove dormivano cercando riparo dall’umidità notturna.

L’ho trovato mille volte nei racconti di quei figli d’Africa che ho avuto l’onore di conoscere, nelle loro storie, nelle speranze che in qualche modo avevano quasi sempre la citazione di quell’uomo che aveva rappresentato gli ultimi, gli emarginati di una nazione crudele e quelli di un continente intero, bellissimo e devastato, ricco di risorse e al contempo poverissimo, defraudato. L’ho contrapposto, e lo farò sempre, ai potenti che dominano il mondo e l’Italia, con la loro arroganza, l’ipocrisia, i loro volti falsi, la loro crudeltà celata dietro una facciata apparentemente normale.

L’ho contrapposto, e lo farò ancora, alle leggi vergogna, ai comportamenti beceri dei cittadini, alla logica del profitto che soppianta la vita umana. Perché Madiba è più forte del tempo e della morte. Madiba, che ha salutato il mondo, non saluterà mai chi lo ha ascoltato, chi lo ha amato e ha sperato con lui. Madiba è il volto della pace, è la voce di una storia e di un continente che sono diventati presente, futuro e mondo. Madiba dovremmo essere noi, che pensiamo di essere soli e invece, grazie a lui, non lo siamo affatto. Nemmeno adesso.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org