Una notizia dolorosa per la giustizia italiana arriva dalla Calabria: nel corso di un’inchiesta portata avanti dalla procura di Crotone, che vede indagata la famiglia mafiosa degli Arena, ben 13 persone sono state arrestate e tra queste spunta il nome di Carolina Girasole, ex sindaco di Isola Capo Rizzuto (KR) e simbolo, per molti anni, dell’antimafia calabrese. Insieme a lei hanno ricevuto lo stesso provvedimento diversi esponenti della cosca, tra cui il boss Nicola Arena (già detenuto) e persino un poliziotto in servizio alla Questura di Crotone, quest’ultimo con l’accusa di violazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento. La Girasole, invece, si trova attualmente agli arresti domiciliari con l’accusa di corruzione elettorale. Secondo gli inquirenti, infatti, l’ex sindaco della cittadina calabrese avrebbe ottenuto favori dalla cosca degli Arena nel corso della campagna elettorale del 2008 che l’avrebbe poi promossa a sindaco per i successivi 5 anni, a capo di una coalizione di centrosinistra.

A favorire il tutto sarebbe stato il marito, Francesco Pugliese (anch’egli agli arresti domiciliari), il quale avrebbe avuto dei contatti diretti con gli esponenti della ’ndrina e avrebbe chiesto, in prima persona, degli aiuti in cambio di favori. Nello specifico (ed è proprio da ciò che è partita l’intera inchiesta denominata Insula), la giunta comunale presieduta dalla Girasole avrebbe fatto sì che la famiglia degli Arena tornasse proprietaria, attraverso dei prestanome, di un terreno coltivato a finocchi sequestrato nel 2005 e poi confiscato dallo Stato nel 2007. La Girasole, quindi, una volta ottenuta la carica di sindaco, avrebbe indetto un appalto al quale avrebbero partecipato tre società tutte vicine al clan mafioso e che sarebbe stato poi vinto da una delle tre per una cifra irrisoria (si parla di circa 205 mila euro).

Al momento, secondo quanto emerso, sembrerebbe evidente che si tratti dell’ennesimo caso di corruzione che vede ancora una volta collegate, purtroppo, mafia e politica. Quel che sorprende fortemente riguarda il passato dell’ex sindaco, un passato fatto di lotta alla criminalità e di tanti sacrifici. Sono noti, ad esempio, i diversi casi di minacce e di intimidazioni che la stessa Girasole ha subito nel corso del suo mandato: nel 2010 le venne incendiata l’auto; l’anno scorso, invece, venne messo a soqquadro l’anagrafe e numerose scritte intimidatorie comparvero sui muri in tutto il paese. Infine, nel maggio scorso, l’ultimo atto con l’incendio della casa estiva. Inoltre, non bisogna dimenticare che la stessa Girasole è stata spesso accomunata ad altri sindaci antimafia calabresi, tra cui Maria Carmela Lanzetta (sindaco di Monasterace) ed Elisabetta Tripodi (sindaco di Rosarno).

È questo, dunque, che ha fatto e fa riflettere: com’è possibile che un simbolo dell’antimafia risulti, in realtà, vicino alla mafia stessa? Possibile che si sia trattata di una menzogna ben costruita? Che l’ex sindaco si sia presa gioco di tutti? Resta ancora da scoprire molto sull’intera vicenda e proprio tale punto appare il più intricato e misterioso, difficile da comprendere con chiarezza. Il procuratore della Dda di Catanzaro, Vincenzo Lombardo, a tal proposito, ha affermato che “la verità” va seguita “fino in fondo” e ha espresso il proprio “dolore” per un caso che rischia di “alimentare la sfiducia”.

In effetti, se l’inchiesta dovesse proseguire e dovesse confermare ciò che oggi appare come un caso grave di corruzione, i feedback sarebbero del tutto negativi. Eventi come questi, infatti, non fanno altro che distruggere anni di sacrifici e di lotte alla criminalità organizzata, oltre che a spargere quella sfiducia nelle istituzioni, anche di quelle che hanno sempre operato al meglio, di cui ha parlato il procuratore stesso (e che è assolutamente pericolosa). Bisogna attendere che la giustizia vada avanti per trovare, una volta per tutte, quella verità che in casi come questi rischia di essere massacrante, terribile.

 Giovambattista Dato -ilmegafono.org