Il calcio dovrebbe essere solo un gioco, uno sport da praticare o da seguire, un semplice momento di svago che vive e muore tra il primo e l’ultimo fischio dell’arbitro. Non una cosa seria, qualcosa su cui sprecare parole su parole, ossessionanti trasmissioni televisive, pagine di giornali o siti web. Ecco perché sul nostro sito non ce ne siamo mai occupati, se non raramente, come nel caso della morte dell’ispettore Raciti, a Catania, dopo il derby tra Catania e Palermo, nel febbraio 2007. Purtroppo, però, in Italia qualche volta sei costretto a interessartene, nolente o volente, perché esso arriva a toccare vari ambiti del nostro vivere sociale. In questo Paese, il calcio è in grado di unificare più della Costituzione e di dividere più di una guerra civile. Di pulito c’è solo il colpo di genio di qualche fuoriclasse, lo schema tattico di qualche bravo allenatore, più nella massima serie che altrove, ma i virus infettanti della corruzione, della violenza fisica e verbale, della truffa sono attaccati alla pelle di tutto il circo pallonaro.

Dal calcioscommesse ai club in bancarotta salvati negli anni con i soldi dei contribuenti e l’avvallo delle istituzioni statali, al riciclaggio di fondi neri attraverso il paravento di roboanti operazioni di mercato, fino al “consueto” problema del doping (evidente anche in altri sport) di cui si parla sin dagli anni ’60. Per poi arrivare alla violenza, al razzismo, alla discriminazione territoriale. I fatti di Salerno, con la partita tra Salernitana e Nocerina sospesa per “volontà degli ultras” nocerini, costituiscono soltanto l’atto più recente e probabilmente più eclatante, l’ennesimo di fronte al quale indignarsi in massa, come svegliati da una secchiata d’acqua gelida di primo mattino. Come fosse qualcosa di inaspettato, imprevedibile, insolito. Niente di strano, nel Paese senza memoria, popolato da putti e verginelle, che non immaginano, non sanno. Tutti dimentichi delle vergogne del derby Roma-Lazio sospeso dopo le minacce dei tifosi o dell’imbarazzante Genoa-Siena, con la lunga interruzione e l’ignobile resa dei giocatori, che si tolsero la maglia come richiesto dai loro tifosi.

Perché da noi è così. Si mostra indignazione, si parla di orrore, di “cose inaccettabili”, di pugno duro, di sanzioni severe e poi tutto si sfuma, si inabissa, si rimette in circolo e si fa ritrovare, in forma ancor più virulenta, allo stadio (il gioco di parole è calzante) successivo. E non cambia nulla. Perché poi, tra le urla e l’ipocrita presa di coscienza, restano le tracce di chi giustifica, di chi immediatamente trova ragioni da addebitare a questo o a quello, capri espiatori, assenza dello Stato. Anche quella volta nel quale uno Stato c’è. In questi giorni, troppe volte abbiamo sentito dire che i calciatori della Nocerina vanno compresi, che non sono colpevoli, perché sono dei ragazzi che hanno avuto paura, dopo aver ricevuto minacce di morte. Non avrebbero potuto fare diversamente, si dice. E la farsa dei finti infortuni multipli in meno di 20 minuti (che un dirigente della squadra di Nocera ha avuto il coraggio di sostenere fossero reali)? Quello è stato fatto per attirare l’attenzione, per far vedere a tutta la nazione quello che avevano subito. Insomma, una recita a fini di denuncia. Così te la spiegano Idiozie.

Anche se fosse vero, non ha senso, perché avvenuto quando tutti avevamo già perso, come Paese, come cittadini. Perché il fatto di non giocare, di far sospendere una manifestazione sportiva su volere di un manipolo di delinquenti, è già una resa. Questa volta lo Stato non c’entra. Perché questi calciatori non erano soli, non erano affidati a un semplice poliziotto o carabiniere, ma al questore di Salerno in persona, che aveva garantito per la loro sicurezza. E soprattutto, quante volte accade nei campi delle serie inferiori di subire minacce da propri tifosi o da tifosi avversari prima di entrare in campo? Eppure si gioca lo stesso. Perché questa volta si è scelto di avere paura? Inoltre, quesito non secondario, perché si permette a dei calciatori in ritiro di parlare con i gruppi di tifosi? La verità sta nel rapporto stretto che questi imbecilli che si trincerano dietro sigle deliranti, cori e logiche da branco intrattengono con le società, che si lasciano permeare e che li utilizzano a corrente alternata a seconda delle convenienze.

Ciò vale da anni per tutti, comprese le squadre della massima serie, che spesso consentono a capi ultras di decidere chi deve sedere in un posto piuttosto che un altro e se vale o meno il tuo abbonamento. Gente che gestisce i biglietti, che entra anche se ha subito un Daspo. Impuniti della peggiore specie, delinquenti infiltrati nello sport, mafiosi o neofascisti (connubio tipico e tristemente famoso della storia italiana). Loro comandano e gli altri si arrendono. Chi oggi difende dei giocatori, dicendo che non avevano scelta, sia consapevole di ciò che sostiene, perché è la stessa logica di chi giustifica la gente che non si ribella a mafia, malaffare, condizionamenti o che ne è complice per obbedienza. Perché il calcio non è il colpevole principale, il calcio è semplicemente uno sport popolare che ospita e riflette i vizi della società e di quegli ambienti che fanno girare i soldi, in qualsiasi modo.

Non è un caso che ci siano società calcistiche, iscritte ai campionati professionistici, di proprietà di persone condannate per mafia, a cui viene consentito di continuare a gestirle. E poi, come ogni “luogo” pubblico, è popolato da imbecilli, ignoranti e maleducati. Come quelli che intonano cori ed espongono striscioni offensivi, devastano gli stadi, lanciano oggetti contundenti o escrementi confezionati in palloncini o buste. Non sono teatri gli stadi. Da anni si parla di misure e di provvedimenti. E qui arriviamo alla Lega e agli organi di governo del calcio. Cosa fanno? Mostrano la loro terribile debolezza, la loro irritante propensione a farsi condizionare dai potenti in capo alle società. Un esempio recente: si sceglie di punire la discriminazione territoriale con la chiusura delle curve. La prima a essere sanzionata è quella del Milan. Ma poi la protesta di Galliani produce una incredibile variazione della norma, con l’introduzione di una sorta di condizionale e il rinvio a una seconda sanzione (in pratica la recidiva), prima di poter disporre la chiusura.

Le società si mostrano concordi nel non applicare misure simili, facendo il gioco degli ultras. La prova (non importa se diretta o indiretta) di un rapporto promiscuo, inutile aggiungere altro. Dopo Salerno, si torna a parlare di linea dura, la Lega Pro annuncia che si costituirà parte civile nel processo agli ultras. E dunque? Nulla, non accadrà nulla. Perché nessuna società accetterà sanzioni che potrebbero intaccare il portafoglio avido dei propri presidenti. Eppure basterebbe voler cambiare le cose, come avvenuto in Inghilterra.

Basterebbe vietare gli striscioni, fare un pre-filtraggio serio, sanzionare con penalizzazioni pesanti le società che cedono biglietti ai gruppi di ultras, vietare seriamente le trasferte, chiudere le curve per 6 mesi ogni volta che commettono un atto violento o intonano un coro discriminatorio (per atti ripetuti e di maggiore gravità, chiuderle per anni), e far entrare, a prezzi più bassi, al posto degli ultras, le scuole, le scuole calcio e le famiglie con bambini, arrestare immediatamente chi commette un gesto di violenza (utile in questo caso imitare gli inglesi, che hanno celle e giudici dentro lo stadio) e inasprire le pene per tali reati. E soprattutto non dare ad alcuna società il diritto di mettere bocca sulle decisioni mirate a garantire ordine pubblico e tranquillità dentro e fuori gli impianti. Perché di ipocrisia e di bugie siamo ormai pieni. Non solo nel calcio.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org