Priebke è morto e questa è una notizia. Priebke è vivo e continua ad essere nocivo testimone della sua esistenza disumana. E questo è uno shock. Come vedere un fantasma, forse perché in effetti lo è, visibile come le scritte oscene sui muri di Roma, tangibile come le botte, i manganelli, le cariche di Albano Laziale, udibile come gli slogan melmosi e i rumori sinistri degli anfibi dei suoi “nipoti” ignobili, rigurgiti acidi di una storia che, mentre vomita, ci ricorda di non dimenticarla mai, di non ignorarla pensando che tutto sia lontano e irripetibile. Non bastano le innumerevoli “Bella Ciao” cantate un po’ dovunque, neppure le commemorazioni o i minuti di silenzio, né i presìdi antifascisti. O meglio, servono, ma non sono sufficienti. Purtroppo. Perché in un Paese nato dalla resistenza eroica a un nemico lucido, spietato e dotato di consapevolezza aritmetica, ci vorrebbero istituzioni credibili, attente, esemplari.

In una democrazia pacificata (forse troppo in fretta) e partorita con grande gesto di amore per la vita e per le idee di tutti i suoi figli, anche di quelli che l’hanno sputata in faccia e torturata, servirebbero istituzioni unificate davvero nel sentimento di rifiuto di quella che è stata la caverna ostruita e oscura dalla quale non sarebbero mai emerse, se qualcuno non si fosse sacrificato per liberarle e portarle alla luce, con uno slancio di generosità rivolto al futuro. A certi rappresentanti di queste istituzioni andrebbe ricordato che Erich Priebke è un mostro, uno dei vermi che, dentro quella caverna, alimentavano il buio divorando la carne dei giusti e degli innocenti. Un verme che, dentro delle cave, ha messo in atto, con fredda lucidità e calcolo crudele, una danza macabra e sanguinosa.

Immagino i suoi occhi fermi, la sua inespressività, i muscoli del volto che si muovono a scatti ogni volta che un proiettile va a segno, un leggero ghigno nervoso mentre infierisce sui corpi. Perché era un nazista. Lo è rimasto sempre, fino alla morte e anche oltre. Non c’è bisogno di leggere la sua ultima intervista o di vedere il suo mendace video testamento. Negazionista, impenitente, spietato. Era come tutti i nazisti, tutti i reduci di quell’orrore che ancora brucia sulla pelle dell’Europa, ferita aperta, lenta a rimarginarsi e che non incancrenisce la nostra democrazia soltanto perché c’è la memoria a rimediare e a disinfettare tutto. Ma quanto durerà questa memoria? Quanto saremo in grado di vigilare, quando tutti i testimoni diretti di quella storia non ci saranno più, non potranno raccontarci a voce quel che hanno vissuto?

Di sicuro punendo atti vergognosi come quello del prefetto di Roma, Pecoraro, che adesso dovrebbe avere la dignità e il buon senso di dimettersi, visto che dal ministero dell’Interno non viene preso alcun provvedimento. Autorizzare il trasporto della salma di Priebke ad Albano Laziale, revocando il divieto del sindaco della cittadina in provincia di Roma, è stato un atto folle, una provocazione inaccettabile. Con il prevedibile caos che ne è derivato, gli scontri, la “parata” e la violenza dei neonazisti ubriachi di ignoranza. Inaccettabile, come la scelta dei lefebvriani (i quali finalmente gettano la maschera su quel che sono e rappresentano) di celebrare i funerali, così disobbedendo al diktat sacrosanto del Vaticano che si era appellato al diritto canonico, che non prevede esequie per il peccatore pubblico il quale non si sia pentito prima della morte (magari la Chiesa avesse applicato sempre tale norma…).

Anche in questo caso, sarebbe bene che il Papa intervenisse, perché non si può consentire a questi integralisti, gli stessi che affermano che sia più grave dare la comunione a un transessuale che concedere l’estremo saluto a un criminale di guerra, di continuare a far parte della Chiesa. È riuscito a creare il caos, Priebke. Ovunque. Magari immaginava di trovare sponde e complici, ha scelto la persona giusta (il suo squallido avvocato) per far montare il caso, agitare lo spettro di una sepoltura in Italia, di una lapide che aggiungerebbe un altro idolo demoniaco da venerare, con parate, pellegrinaggi e dimostrazioni a ritmo di “Boia chi molla”, tra svastiche e croci celtiche.

E meno male che a Roma non c’è più Alemanno, che la croce celtica la porta ancora al collo, per celebrare un’altra memoria, la sua. Altrimenti chissà cosa sarebbe accaduto. Avrebbe fatto appello alla pace, alla pietà umana che si deve a ciascun morto. Che non c’entra nulla. Personalmente, non faccio parte dei seguaci di “piazzale Loreto”, non amo l’accanimento su quello che è solo un corpo senza vita, non concordo con chi di quel corpo ne avrebbe fatto o vorrebbe farne scempio. Ma, di sicuro, è il simbolo di chi lo ha abitato senza anima per 100 anni. E non c’è spazio per lui in questa Italia. Ecco perché il governo avrebbe dovuto imporre, con decreto, il divieto di sepoltura nel territorio nazionale, così come fatto dal governo argentino, che doveva espiare la colpa di una nazione che per decenni ha fatto affari e garantito protezioni a vantaggio dei nazisti sfuggiti alla giustizia.

Priebke è un cittadino tedesco, un ex militare dell’esercito. Se lo prendano loro e decidano loro cosa farne. Dal canto nostro, sarebbe ora che il Parlamento, dentro il quale nel corso degli ultimi dieci anni sono state presentate proposte di legge negazioniste tese a equiparare chi ha lottato ed è morto per la nostra libertà e chi invece ha combattuto a fianco degli invasori nazisti, cambiasse rotta e adottasse dei provvedimenti che rendessero effettivo il reato di apologia introducendo quello di negazionismo. Con pene severe e concrete. Un emendamento è stato già presentato. Speriamo che si arrivi ad una legge. E che si adottino anche misure e sanzioni contro quei funzionari che commettono atti inaccettabili. Perché c’è bisogno di unità e di mezzi per difendere la memoria da chi la minaccia o la nega. E anche dall’arroganza dei fantasmi.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org