Il presidente del Consiglio, Enrico Letta, l’ha definita “un momento di grande orgoglio per il paese. Abbiamo dimostrato al mondo cosa è in grado di fare la tecnologia italiana”, ha detto commentando l’operazione di raddrizzamento della nave da crociera Costa Concordia, conclusa martedì scorso davanti all’Isola del Giglio. Sicuramente gli uomini e le donne che hanno lavorato alla rotazione della nave devono essere soddisfatti di quanto realizzato, ma non si può certo dire che l’Italia ora abbia “voltato pagina”. I danni ambientali causati dal naufragio della Costa Concordia sono ingenti e ancora tutti da “sistemare”. I biologi temono infatti che i danni all’ecosistema del Parco nazionale dell’arcipelago toscano possano essere irreversibili.

La squadra di recupero assunta dalla Costa Crociere ha adottato diverse misure per proteggere la flora marina intorno alla nave incagliata, ma, secondo gli esperti, sono andati distrutti almeno 7.500 metri quadrati di Posidonia oceanica, una “prateria marina” che ha un ruolo cruciale nella salvaguardia dell’ecosistema marino. Secondo studi recenti, la prateria marina ha un’ importanza fondamentale anche nella lotta contro il cambiamento climatico. Si stima che, insieme, le distese di praterie marine assorbano ogni anno circa il 10 per cento delle emissioni di carbonio dell’intero pianeta.

“Sappiamo di un efficace sistema di ‘contenimento’ intorno al relitto, ma rilasci in profondità (noti peraltro dal marzo 2012) sono praticamente incontenibili. Le barriere utilizzate, infatti, non pescano oltre i cinque metri di profondità”, scrive Greenpeace sul suo sito Internet. Inoltre, lo stesso ministero dell’Ambiente ha parlato di “contaminazione delle acque interne al relitto” in un documento presentato nei giorni scorsi sullo stato dell’inquinamento causato dalla Costa Concordia.

I danni all’ambiente sono stati anche quantificati dall’Ispra,  Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale. Si tratta di 12 milioni di euro per la depurazione delle acque interne al relitto e l’innesto di nuove piante di Posidonia.  Per ripristinare l’ecosistema, se possibile, ci vorranno anni e i rischi ambientali legati al trasporto del relitto dall’Isola del Giglio verso un porto vicino permangono.

 G. L. -ilmegafono.org