Lo abbiamo scritto spesso: i problemi e gli orrori non vanno mai in vacanza. Anzi, proprio in questi periodi di stasi, di pausa, si compiono i misfatti peggiori. Perché c’è un tempismo che non è mai casuale, quando, ad esempio, si commette qualcosa di ingiusto, si violano dei diritti, si assumono decisioni assurde. Si punta proprio sul periodo spento, ricco di distrazioni, dove tutto sembra fermo, rinviabile, derogabile. In realtà si muove tutto, ma in maniera subdola. Come un coccodrillo che striscia tra le acque melmose di una palude, in questo Paese tutto si agita nell’ombra, oscuro, ambiguo, indisturbato, nascosto dietro bugie che resistono nel tempo, fino a quando poi non scoppia lo scandalo. E allora due o tre giorni, al massimo una settimana di indignazione e poi via, come se nulla fosse. La memoria si azzera.

Il caso della moglie e della figlia del dissidente kazako Ablyazov è solo l’ultima puntata di una saga che non si conclude mai con la parola “fine”, ma sempre con una formula che i protagonisti recitano a memoria: “a mia insaputa”. Una moda italiana, resa a suo tempo celebre dall’ex ministro Scajola, il quale, “a sua insaputa”, abitava addirittura in una bella casa con vista sul Colosseo. Così come, quando era ministro dell’Interno, sicuramente “non sapeva” di tutte le violazioni dei diritti umani che le forze di polizia stavano compiendo a Genova, in occasione del G8 del 2001. Nessuno sa. Nessuno è mai responsabile. Sono sempre gli altri a sbagliare, esistono i capri espiatori, non quelli che lo fanno per mestiere (raccontati dalla penna acuta e dissacrante di Pennac), ma quelli (comunque colpevoli) ai quali si affibbia ogni errore, con cacciata e rimozione ordinata dall’alto, dai livelli che non pagano mai e che si difendono con un angelico “non sapevo”.

Così, Angelino Alfano prepara il copione e ce lo recita tutto, con tanto di espressione incredula. Inutile arrabbiarsi. Loro non fanno altro che portare avanti la convinzione secondo cui gli italiani sono un popolo di idioti e creduloni, capaci di bersi qualsiasi frottola. Evidentemente il comportamento degli italiani stessi, negli anni, ha rafforzato questa convinzione. Perché accettano, perdonano e, soprattutto dimenticano ogni cosa. Accettano persino le scuse finte e rituali di chi, pochi istanti prima, ha vomitato il peggio, le cose più atroci, ignobili. Siamo anche il Paese, infatti, di “era solo una battuta”. Altra moda italiana, alla quale si è assuefatta buona parte del popolo, sempre lì, immobile, a prendere atto e accantonare. Per poi magari indignarsi qualche tempo dopo, alla nuova occasione, alla prossima “battuta”.

Ovviamente nessuno degli “stilisti” di queste mode si fa da parte, né viene messo fuori dalle passerelle. Perché, non dimentichiamolo mai, siamo anche il Paese il cui governo si basa non sulla fiducia e sul consenso degli elettori, ma sul ricatto. Si consente tutto ai ministri, ai viceministri, ai vicepresidenti del Senato, ai sottosegretari. Tutto lecito. Perché ci si basa sul “o resta al suo posto o tutti a casa”. Un equilibrio precario, tra colleghi di compromesso, con cui si dà benzina al motore di un governo che non avrebbe mai dovuto esistere. E che invece c’è. Privo di orizzonti concreti, naviga a vista, cercando ogni giorno di non far entrare l’acqua dalle falle di una carena malandata e pericolante. Con il timone affidato al Re Giorgio. Autoritario e inflessibile sulla rotta da seguire. Poco importa che sia sbagliata.

Intanto, a naufragare sono la decenza e i bisogni di un’Italia declassata e sull’orlo dell’asfissia. Un’Italia che ripudia la sua Costituzione e ne mortifica i principi fondamentali, lasciando scorrere tra i suoi nervi, di tanto in tanto, una scossa di rabbia che però pian piano sfuma in una rassegnata abitudine, che non produce azione. La speranza è patrimonio di pochi: ha un prezzo altissimo, che non tutti sono disposti a pagare. E allora questo ultimo numero prima della pausa estiva (torneremo sabato 21 settembre) lo dedichiamo a chi spera ancora, malgrado tutto, a chi quest’estate continuerà a lottare per il proprio lavoro, per sfamare la propria famiglia, per contrastare le mafie, per difendersi e difendere un diritto, per compiere il proprio dovere, per tutto quello che rappresenta la dignità di un Paese ostile e degradato, il cui tessuto connettivo vacilla, ma resiste ancora, nonostante i crolli, i virus e le truppe organizzate degli irresponsabili “a loro insaputa”.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org