Sono di Bologna e facevano i dj a Radio Città Fujiko. Da soli si chiamano Alberto Cazzola, Francesco Draicchio, Ludovico Guenzi, Alberto Guidetti e Enrico Roberto; insieme formano i Lo Stato Sociale. Ironici, sarcastici, tra l’indie e l’elettronica, intelligenti. Un mix fatto benissimo che raccoglie successi e riconoscimenti. Ad esempio, il premio SIAE come “miglior giovane talento dell’anno”. Un gruppo che non storce il naso e che potete vedere suonare un po’ ovunque, con i mostri sacri del mondo indipendente o con gli emergenti. Lo Stato Sociale rappresentano l’essenza più pura dello spirito di una buona fetta di giovani nostrani. Un’anima che fa dell’autoironia, della critica sottile, della denuncia dell’ipocrisia un proprio vessillo. L’importante è non prendersi sul serio, anzi prendersi per il culo. Forse perché non si trova niente che conti davvero e quando non si ha alcun ruolo o poche speranze non resta che stare all’opposizione nella vita.

Abbiamo vinto la guerra è un risveglio dai suoni acuti e penetranti che scivola su un piacevolissimo ritmo quasi estivo. Testo diretto che miscela immaginario giovanile e attualità: “Ma che infamia finire la guerra e non avanzare vino, far fuori chi ha fame e poi non avere pane, farsi concorrenza senza mai lavorare e andare affanculo perché non si sa dove andare “. Mi sono rotto il cazzo è un’apoteosi e non solo uno sfogo. Una mitragliata di parole, veloce, frecce che solcano l’immaginazione e ce n’è ovviamente per tutti. Un catalogo di vaffanculo ben assestati come il monologo de “La 25° Ora”. Ritmo leggero per cromosomi, testo geniale fin dall’incipit: “Spesso il male di vivere ho incontrato, l’ho salutato e me ne sono andato. Diciamo che non siamo amici, ma ci rispettiamo; non è indifferenza ma senso reciproco di presenza”.

Vado al mare racconta un abbandono, prendendosela con le sovrastrutture finto-intellettuali di questi tempi: “Mi ricordo quando mi lanciavi le mutande per trasmettermi il senso di abbandono in cui giacevano indumenti stanchi come la tua voglia di sorridere”. Un inno dello spirito di cui si scriveva sopra è Sono così indie: “Sono così indie che mi metto gli occhiali grossi da pentapartito (VIA!), mi tolgo gli occhiali grossi da pentapartito e mi metto i Ray-ban (VIA!), mi tolgo i ray-ban e mi metto qualche altra mongolata colorata, per esempio quelli di Kanye West nel video coi Daft Punk, titolo: STRONGEEEER!”.

Maiale, invece, capovolge frasi fatte decontestualizzandole al limite dell’assurdo e così anche lasciarsi ha un sapore meno tetro del solito. Ladro di cuori col bruco è un capolavoro che sforna frasi illuminanti. Una serata in discoteca, le relazioni finte, le Veneri scollate in corpo da Lolita, i fenomeni da baraccone nell’ambiente, il protagonista sfigato; svolge un’analisi antropologica: “E io penso ai vestiti, alle macchine, alle cene, ai cocktail, ai cappellini, al conto corrente che perde degli uomini che sanno dire in cifre cos’hanno da offrire alle donne che sanno farsi comprare senza farlo pesare”.

Bellissima per il ritmo che prende e ancora una volta per il testo, è la canzone Quello che le donne dicono.

“Turisti della democrazia” (così si intitola l’album) è un’opera di nichilismo a fin di bene, un disco demistificatorio che prende a picconate l’ipocrisia e ci riporta sulla terra dandoci anche del coglione. Ascoltandolo bene capirete che hanno ragione e che il sarcasmo non è sempre fine a se stesso.

Penna Bianca  –ilmegafono.org