Dovremmo scrivere del decreto del governo. Dovremmo appassionarci ai numeri che ci vengono propinati, sui quali ciascuno ha un’idea diversa e tutti concordano che non va bene. Dopo due anni di dati sono cose che andrebbero fatte fare agli economisti, solo che poi finirebbero per discutere tra varie scuole di pensiero. A queste disquisizioni, pur vitali ma trattate alla stregua della dimostrazione filosofica dell’esistenza di Dio, preferisco un’osservazione sulla migrazione dei grilli. Battuta facile (e triste) per descrivere i dissidenti parlamentari all’interno del gruppo Movimento Cinque Stelle. Lascia anche la senatrice Antinori, dopo Marino Mastrangeli, Adele Gambaro (espulsa tramite gogna telematica) e Paola De Pin.

È interessante come le scelte di questi politici (fatta eccezione per Gambaro) vengano trattate dalla stampa come moto di esasperazione dovuto alle regole del partito. Una visione buonista se paragonata a quella riservata ad altri “fuoriusciti” o “dissidenti” come chi fece cadere il Governo Prodi 2, i famigerati 101 del PD o i “responsabili”. Al di là del macchiettismo che contraddistingue alcuni personaggi del recente passato, il giudizio, in termini di principio, dovrebbe essere lo stesso per chiunque abbandona le fila nelle quali è stato eletto. I fedelissimi alla berluscones non mi sono mai piaciuti, ma voglio pensare che quell’idea di fedeltà sia distorta da quattro buffoni e che la coerenza con sé stessi e la propria dignità abbiano ancora un valore.

Benché non ci sia (giustamente) un obbligo nel seguire pedissequamente quanto viene imposto dall’alto, non si può neanche far finta di niente, o peggio, dire che va tutto bene e applaudire solo quando agli altri (M5S) va male. In fin dei conti, quello che Grillo chiama impegno verso gli elettori esiste. Un concetto più sfumato della dialettica tra il vaffanculo e la beatificazione, che a molti resta oscuro ma esiste. Però non si può neanche portare in cielo, solo a volte e quando torna comodo, chi lascia un gruppo parlamentare. Sul Movimento Cinque Stelle abbiamo scritto tanto, sia in positivo che, soprattutto, in negativo. Su quel Movimento molte cose non tornano sin da prima che entrasse in Parlamento. Ma accorgersi dopo che si tratta di un partito personale è assurdo: che partito non era neanche alle elezioni e che alcuni punti del programma non fossero affatto condivisibili era palese fin dall’inizio.

Quindi o si pecca di ingenuità (comprensibile al primo trasloco a Roma, ma che non scuso a chi mi rappresenta) o c’è dell’altro “sotto”. La dietrologia e il complottismo lasciamoli a quelli che “le tresche giudaico-massoniche…” e accontentiamoci del primo. Non c’è bisogno di un’orripilante gogna mediatica, né dei processi in piazza, solo della possibilità di mettere la preferenza quando si entra nell’urna. E anche di un po’ di ponderazione quando si scelgono la vita e la cosa pubblica. Giusto per poi non trovarsi a dire: “Ah, ma non avevo capito che funzionava così”. L’esperienza a volte non è un difetto. Sia chiaro, son robe da calli in testa, ma è bene non perdere di vista l’equilibrio.

Penna Biancai – ilmegafono.org