Quella a cui appartengo è una generazione particolare: siamo un po’ i figli della stagione stragista. Eravamo ancora bambini nei primissimi anni ’90 e i nostri occhi ancora ingenui e impressionabili hanno visto con stupore e tanta paura quanto possa essere feroce la mafia. Questo non ci ha resi più deboli o paurosi, al contrario, siamo cresciuti con il mito di grandi eroi come Falcone e Borsellino e abbiamo compreso l’importanza di schierarci contro la criminalità organizzata, di non scendere più a compromessi, di non accettare che un branco di delinquenti armati di tritolo tenesse in ostaggio le nostre vite. Almeno di questo ero convinta sino a fatti recenti che mi hanno fatto un po’ ricredere sull’effettiva portata della lotta alla mafia ai giorni nostri.

Partendo dal gran clamore suscitato da “Don Panino”, una paninoteca a Vienna i cui prodotti prendevano i nomi di boss mafiosi e vittime della mafia, non esitando a sbeffeggiare vergognosamente queste ultime. All’interno del locale (o su internet) era infatti possibile ordinare il “Don Falcone”, definito testualmente “il più grande rivale della mafia grigliato come un salsicciotto”, o il “Don Peppino”, dedicato a Peppino Impastato, accanto al quale i proprietari (dal discutibilissimo senso dell’humor) si erano limitati a scrivere “un siciliano dalla bocca larga”.

A rendere maggiormente sgradevole l’intera situazione, la consapevolezza che i proprietari del locale (uno dei quali ha difeso la propria “idea di marketing” dichiarando: “Non è colpa mia se all’estero si associa all’Italia solo la mafia, la pasta, la pizza e Berlusconi. A Vienna c’è una catena di parrucchieri che si chiama Capelli mafia”) sono di origini italiane. Così come i proprietari di un altro locale del genere, in Argentina: “Arte de mafia”, dove è possibile gustare (e personalmente mi auguro con annessa indigestione) piatti come la bruschetta Bernardo Provenzano o le pappardelle Crimine organizzato.

Addirittura, nel sito del ristorante, dove si precisa con un certo orgoglio che si tratta del primo locale tematico dedicato alla mafia in Argentina, è presente una sezione dedicata alla storia della mafia, mentre il video pubblicitario (presente a tutt’oggi in rete) invita lo spettatore ad andare a provare “gli squisiti sapori della mafia”. Del resto, come meravigliarsi che all’estero la mafia sia vissuta come un fenomeno di marketing se questo accade anche in Italia. Dalle sempre più frequenti serie televisive dedicate a questo o quel mafioso, ai souvenir che si trovano in tutte le località turistiche siciliane.

Magliette, calamite, accendini, tutti inneggianti alla mafia, offendono gli occhi dei numerosissimi siciliani onesti che rabbrividiscono all’idea che la propria terra venga accostata a sanguinari criminali che invece ne rappresentano solo il peggio, l’unica vergogna. Purtroppo accanto ai numerosissimi siciliani onesti che si indignano, che provano a sconfiggere il crimine con le loro piccole scelte quotidiane, ci sono ancora tanti siciliani (e non solo) che scendono a compromessi o che vivono la lotta alla criminalità organizzata più come uno “slogan” che come una concreta scelta di vita.

È di questi ultimi giorni la notizia che a Siracusa è stato arrestato, per estorsione aggravata, Osvaldo Lopes, candidato per il Consiglio Comunale nella Lista Mangiafico e, al contempo, appartenente al clan Bottaro-Attanasio. Due ruoli che non dovrebbero poter coesistere, un’imperdonabile scelta o svista degli altri appartenenti alla lista, poiché è quantomeno agghiacciante pensare che si è corso il rischio che un mafioso concorresse a prendere tutte le decisioni amministrative di una città. Lo scrittore Gesualdo Bufalino una volta scrisse: “La mafia sarà sconfitta da un esercito di maestre elementari”. L’augurio è che questo processo di educazione, questa conversione alla legalità siano davvero iniziati, e che la prossima generazione sia migliore della nostra.

Anna Serrapelle- ilmegafono.org