Esplode la rivolta in Turchia. Esplode da Gezi Park, diventa sommossa e prurito democratico contro il primo ministro in tutto il Paese. Una protesta bella, con le musiche delle orchestre improvvisate, gli innamorati per mano con le maschere antigas. Una protesta che però usa anche le molotov, il lancio di sassi, i fuochi d’artificio, incendia le camionette della polizia. I telegiornali e i giornali italiani parlano dei massacri compiuti dalle forze dell’ordine del premier, si parla dell’agente orange utilizzato nei lacrimogeni, degli idranti sulla donna dal vestito rosso e sull’uomo in carrozzina, degli spari e i lacrimogeni ad altezza d’uomo. Si improvvisa una corsa alla solidarietà con la protesta, il rivoltosobuono/ilpoliziottocattivo sono i nuovi bianco e nero che fanno riposare la coscienza.

Descrizioni sacrosante, commenti e solidarietà dovuta e condivisibile. È giusto appoggiare il popolo turco che protesta civilmente e viene attaccato da chi lo dovrebbe proteggere e garantirne la libera espressione. Eppure non può mancare un viaggio in mare, qualche miglio marino, per arrivare sulle coste italiane e pensare a un confronto tra quello che vediamo e sentiamo sulla Turchia e quello che succede da noi. Dov’è la solidarietà quando in Sicilia si parla di opporsi all’americanizzazione dell’Italia e ai pericoli per la salute del MUOS? Dov’è quando si parla del poligono di Salto di Quirra? Dove quando si parla di Taranto o della Tav?

Stupisce l’ipocrisia dei media e dei cittadini quando si riferiscono a fatti lontani da casa. Si prediligono la spettacolarizzazione, la generalizzazione e la compassione. I benpensanti di Villa Ada, perché non difendono il poliziotto turco figlio del proletariato? Forse perché il nemico è identificabile, il cattivo (che cattivo è davvero) risponde perfettamente alle nostre esigenze di paese occidentale in crisi. L’islamizzazione=pericolo ci torna molto comoda.

L’importanza delle proteste di Ankara e Istanbul si allarga e deve diventare occasione di riflessione, cassa di risonanza per le tante rivolte nostrane, forse troppe perché si riesca a essere rivoluzionari anche da noi. Si rischia altrimenti di ghettizzare le nostre proteste, lasciarle sole sul loro suolo, sole a combattere, sole a far valere le loro ragioni. Il ragionamento, l’indignazione e la manifestazione sono armi utili da utilizzare spesso, non solo quando ci muovono a compassione in tv. Sennò saremo sempre i rivoluzionari che solidarizzano da lontano con le facce insanguinate e le ragioni di altri.

Penna Bianca –ilmegafono.org