Le persone che lasciano il vuoto una volta che se ne vanno sono spesso anche quelle che non si conoscono personalmente. Internet e la tv ci danno la possibilità di vederle e ascoltarle, i libri ci danno l’opportunità di leggerne le idee e loro sono una sicurezza. Una presenza costante ma discreta nelle vite di ciascuno, una frase che illumina, un pensiero da condividere, un sentimento da cullare. Don Andrea per gran parte di questo Paese era proprio così. Come il portiere a calcio. Nessuno dei suoi lo guarda in faccia ma ciascuno sa che dietro, qualche metro alle sue spalle, c’è qualcuno sempre pronto a salvare la linea di porta. Quello che urla al difensore di fare attenzione, che sgombera il campo dall’ambiguità prendendosi l’onore del “mia” nel chiamare la palla.

Un portiere, Don Andrea, guantoni sfilacciati, cappello, sigaro, tonaca e crocifisso. Portiere, numero “n+1”, che i primi non ne hanno bisogno, rappresentante di un cattolicesimo buono e non buonista, originale combattente e per questo presente. Un portiere saracinesca e fuoriclasse per la squadra degli ultimi veri, i fuori classifica, quelli emarginati oltre lo zero e la virgola nelle percentuali del potere. Lo stesso potere che lo relega e lo ha relegato ai margini, lasciandolo da solo nelle sue battaglie, tenendolo lì come uno dei tanti, uno da far stare con quelli che amava e ama e trattarlo con la loro stessa moneta.

Non credo gliene sia mai importato nulla, ma un insegnamento non colto sono perle ai porci. I porci hanno preferito le ghiande e allora l’invincibile Don Andrea, anche contro il silenzio dei salotti buoni, sbeffeggiando la triste e sorda tredicesima pagina che gli ha dedicato Avvenire, ha segnato una bella fetta di questa generazione in virgulto.

Ricordo un giorno a scuola l’arrivo di Don Andrea, in una provincia lontana resa più cattiva dal freddo di novembre. Aula Magna stracolma, ragazzini più o meno annoiati e chiassosi e poi il silenzio quando cominciò a parlare con la forza, con la convinzione e il carisma che gli scorreva addosso. Avere il silenzio (quello interessato e non imposto) e il rispetto degli adolescenti è la vittoria più grande per un adulto. Questo ha raccolto, in barba ai perbenisti e agli schizzinosi. Ha scritto un amico: “L’unico uomo che poteva entrare nell’Aula Magna del tuo liceo fumando un sigaro. Gesto che, per un diciassettenne, aveva il peso di una presa della Bastiglia”.

Ci lasciò quel senso di piccola rivoluzione mista a speranza che le sue parole schiette, trasparenti, semplici infondevano in noi giovani. L’attore e autore teatrale Giulio Cavalli ha raccolto quest’impressione in un tweet: “Per fortuna hai dimenticato qui la borsa con tutto quello che sei stato. E la tua rivoluzione semplice e vera”.

Se qualcuno domani andrà a messa ascolti con cura l’omelia o la preghiera dei fedeli per scorgere anche solo un bagliore di umanità verso un uomo, un sacerdote, un pastore, i suoi ultimi. Se non lo sentirete, annegato nella retorica che solo finge di diffondere certi valori, non temete, Don Gallo ha fatto la scommessa di Pascal: se ha avuto ragione si farà sentire. 

Penna Bianca –ilmegafono.org