Nel crollo dello stabilimento tessile Rana Plaza, il 24 aprile scorso n Bangladesh, sono morte 1.127 persone. Dal 2005, nello stesso Paese più di 1700 lavoratori tessili, pagati meno di 30 euro al mese, hanno perso la vita per via delle scarse condizioni di sicurezza degli edifici. Secondo le ricerche fatte da alcune Ong, come la britannica War on Want, gli operai sono maltrattati sul luogo di lavoro, mentre le donne incinte sono spesso costrette a recarsi in fabbrica fino ad una settimana prima del parto e molte di esse non ottengono la maternità prevista dalla legge. Per questo e per altre decine di motivi che riguardano le condizioni di lavoro degli operai tessili nei Paesi più poveri, la campagna internazionale Abiti Puliti ha lanciato un appello sottoscritto pochi giorni fa anche da Benetton. “La pressione popolare coordinata dalla campagna Abiti Puliti ha costretto anche Benetton a firmare l’accordo per la sicurezza e la prevenzione degli incendi in Bangladesh”, si legge nel comunicato di Abiti Puliti.

L’accordo firmato da Benetton impegna le aziende a ispezioni indipendenti e revisione strutturale degli edifici, formazione dei lavoratori in merito ai loro diritti, informazione pubblica, oltre che a sostenere i costi e interrompere le relazioni commerciali con le altre imprese che rifiuteranno di adeguarsi, per rimuovere alla radice le cause che rendono le fabbriche del paese insicure e rischiose per migliaia di lavoratori. “Il cuore dell’accordo – spiega Deborah Lucchetti della campagna “Clean clothes” (abiti puliti) – è l’impegno delle imprese internazionali a pagare per la messa in sicurezza degli edifici, unitamente ad un ruolo centrale dei lavoratori e dei loro sindacati.

Solo attraverso una diretta partecipazione dei lavoratori del Bangladesh sarà possibile costruire condizioni di lavoro sicure e mettere la parola fine a tragedie orribili come quella del Rana Plaza”. La firma di Benetton arriva dopo aver negato a lungo il suo coinvolgimento con fornitori presenti al Rana Plaza e dopo che molti dei marchi impegnati nelle fabbriche bengalesi avevano già riconosciuto la propria responsabilità. H&M, Inditex, PVH, Tchibo, Primark, Tesco, C&A, Hess Natur sono alcuni dei primi firmatari dell’accordo.

“Questo successo – continua il comunicato – è frutto non solo della collaborazione straordinaria tra la campagna Abiti Puliti, il Workers Rights Consortium, la federazione dei sindacati internazionali IndustiAll e UNI Global Union, unitamente alle altre organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti dei lavoratori, tra cui citiamo War on Want, People and Planet, SumOfUs.org, Change.org, Credo Action, Avaaz e Causes, ma soprattutto della forza che i consumatori hanno saputo imprimere alla campagna decidendo di sottoscrivere la petizione che chiedeva ai marchi azioni concrete”.

Con l’accordo firmato dalle grandi imprese tessili, si apre una fase nuova, nella quale i marchi si sono impegnati ad essere parte attiva e collaborativa. “Tutti insieme siamo riusciti a creare un precedente storico di mobilitazione dal basso che difficilmente potrà essere ignorato d’ora in avanti”.

G. L.-ilmegafono.org