Internet sempre a portata di mano, veloce, semplice e soprattutto gratis. Ma a che prezzo? Secondo l’Università di Melbourne, in Australia, le industrie si stanno muovendo nella direzione sbagliata per salvare l’ambiente, limitando i consumi dei data center. Secondo gli scienziati australiani sarebbero le moderne infrastrutture adibite alla connessione 4g e il wireless casalingo ad incrementare in misura sempre più preoccupante le emissioni nocive di CO2.

Entro il 2015, infatti, solo il 9% sul totale delle emissioni sarà causato dai data center, il resto, più del 90%, sarà opera degli altri fattori. Il cloud computing, dunque, semplifica la vita a spese dell’ambiente. Qualche tempo fa Greenpeace additò i data center in un rapporto sui sistemi di archiviazione dati delle aziende, senza considerare che l’avvento e l’esplosione di dispositivi wireless come tablet e smartphone di ultima generazione ha incrementato i consumi della tecnologia cloud.

Tutto questo ha indotto le grandi aziende ad adottare politiche ambientali apparentemente più oculate, trascurando l’aspetto che desta attualmente maggiori preoccupazioni; del resto, i data center sono solo una parte dell’intero sistema di cloud computing. È il network stesso, soprattutto la parte finale del link che collega l’infrastruttura e il dispositivo, a comportare maggiori consumi energetici.

Nel 2015, se i consumi dovessero mantenere un’evoluzione costante, le emissioni aumenteranno del 460%, con un cloud che consumerà 43 terawattora di energia, a dispetto dei 9 del 2012, senza considerare che tutto questo provocherà ben trenta milioni di tonnellate di CO2 disperse nell’aria. Progresso tecnologico sì, ma almeno con uno sguardo rivolto anche all’ambiente.

Laura Olivazzi -ilmegafono.org