Un giorno dedicato alle donne può essere un importante e necessario momento di riflessione, a patto, però, che non rimanga l’unico. Perché il buio dentro la cella di una prigione infinita non va mai via, ti segue ogni giorno e ogni notte, ti si appiccica addosso anche mentre sei fuori a scrutare il cielo nella tua ora d’aria. Mentre scrivo, sui giornali on-line campeggia la notizia di un’altra donna trovata assassinata in circostanze che sono ancora da chiarire. Un’altra vittima che si aggiunge alle 102 già registrate nel corso del 2012 (un omicidio ogni 3 giorni). Una strage senza fine, una questione nazionale, un’onda di violenza che bagna di sangue l’Italia, da Nord a Sud, nei quartieri degradati come in quelli “alti”, nelle grandi città così come nei piccoli comuni. Quali parole aggiungere alle storie di morte, violenza, umiliazione, paura, angoscia che quotidianamente leggiamo o conosciamo di persona, spesso per caso, altre volte con l’amara constatazione di chi non si capacita dell’esistenza di tanto orrore, tanto disprezzo per la vita umana, per la dignità e la libertà di una donna.

Sono più di 6 milioni e mezzo le donne dai 16 ai 70 anni che, nella loro vita, almeno una volta, hanno subito violenza. Poco più del 6% delle violenze sono commesse da sconosciuti. Il resto avviene in ambito familiare e la quasi totalità di quelle commesse dal partner (marito o fidanzato)  o dall’ex non viene denunciata. Sarà sufficiente un giorno per riprendere aria? Basteranno le lodevoli iniziative del 25 novembre a regalare luce a chi vive negli abissi del proprio dolore, della propria schiavitù? No, ma è pur sempre importante che ci siano momenti di coinvolgimento ed educazione, di attenzione riguardo a questa drammatica voragine di civiltà e di umanità all’interno di un Paese apparentemente avanzato.

Solo che poi ci vuole altro, ogni giorno: servono azioni di pressione su chi legifera, affinché metta questo tema al centro della propria agenda, smettendo di rendersi complice di questa turba famelica di assassini, vigliacchi e sadici, e iniziando, da un lato, a porre in atto gli interventi sociali urgenti, come l’aumento del numero di consultori, sportelli di ascolto, centri antiviolenza, strutture di accoglienza dotate di un numero adeguato di posti letto, programmi scolastici di educazione alla sessualità, all’affettività e al rispetto, e, dall’altro, ad approntare misure normative di carattere penale, soprattutto quelle preventive, che possano rendere certa e severa la condanna di chi molesta, perseguita, picchia, violenta o uccide una donna. È necessario fornire il massimo sostegno a chi ha il coraggio e la voglia di denunciare, consapevoli che la denuncia di una donna può salvare la vita di un’altra donna, di una potenziale futura vittima.

Bisogna liberare l’Italia dal virus marcio del maschilismo, dalla logica esasperata ed aberrante del possesso, dai modelli diseducativi che le famiglie e la società veicolano colposamente, dagli schemi convenzionali a cui, troppo spesso, molte donne finiscono per incatenarsi, accettando certi comportamenti, inscrivendoli in una dimensione ”normale”, “comune”, “accettabile”, che in realtà è perversa, folle, malata, visibilmente fuori da ogni logica. Una lotta culturale a cui siamo chiamati  tutti noi, in primis gli uomini, anche se ho davvero poca fiducia nella gran parte dei miei colleghi di genere, i quali andrebbero rieducati e privati di tutto quel vocabolario di parole, concetti, atteggiamenti, mentalità che sono il terreno su cui si edifica lo strato culturale che partorisce la violenza e i modelli necessari ad alimentarla.

Modelli che spesso finiscono quasi per apparire “condivisi”, perché ci sono contesti in cui il possesso della propria moglie o compagna, inteso come dominio integrale e autoritario su ogni suo ambito vitale, esteriore ed interiore, viene considerato normale. La violenza nei suoi confronti, per un adulterio o per un semplice bisogno di spazio individuale o per l’esercizio della volontà di chiudere una relazione, è considerata logica, “condivisibile” secondo gli schemi di una società che, malgrado l’apparente emancipazione, conserva una profonda anima bigotta e illiberale, figlia di un radicato dogmatismo cattolico che svilisce da secoli il ruolo della donna e il suo diritto alla libera scelta. Non so quante volte ho sentito dire “se l’è andata a cercare”, di fronte alla notizia di uno stupro nei confronti di una donna che aveva “osato” un abbigliamento meno casto, meno abbottonato, come se la scelta individuale di indossare un abito piuttosto che un altro potesse rendere quasi legittima l’azione prevaricatrice e disumana di un uomo.

Per non parlare poi del dramma silenzioso (almeno per chi non vuol sentire) ma assolutamente palese delle prostitute, di quelle giovani donne massacrate dallo sfruttamento, dagli stupratori e dal sadismo dei clienti che affondano le lame del proprio egoismo nella carne, nell’anima e nella sofferenza di chi, ogni giorno e ogni notte, vede e sente morire un pezzo di sé. Misoginia che diventa poi facilmente omofobia e si scaglia anche contro le trans, ugualmente vittime, ugualmente sole e ugualmente condannate ad una fine silenziosa, alla stregua di uno “scarto” da lasciar scivolare nella discarica della “non-umanità”, dove il maschio ha costruito il suo impero putrido.

È una battaglia, quella a cui siamo chiamati. Una battaglia quotidiana, dispendiosa, difficile, terribile. Una battaglia all’interno di una guerra che vomita orrori, sparge sangue e dolore, costruisce trincee e campi di prigionia, da cui difficilmente si riesce a uscire. Abbiamo l’obbligo di vincerla questa guerra, tutti insieme, perché riguarda tutti noi, le nostre vite, quelle dei nostri cari, delle nostre figlie e dei nostri figli, quelli che ci sono e quelli che verranno. L’Italia è in guerra, non con un nemico straniero, ma con se stessa, con le sue mentalità e alcune sue becere tradizioni, con le sue leggi che non aiutano, non sostengono, non proteggono, con la sua politica indifferente e con il suo welfare in macerie.

Il 25 novembre è una data, quella in cui uno degli eserciti in lotta rivendica, diffonde, parla al popolo, si rivolge a quei cittadini tra i quali si nascondono i nemici più sanguinari. Il giorno dopo si ritornerà ad affrontare il buio, con mille sacrifici e ostacoli, cercando di scrollarlo di dosso a chi ne rimane avvolta, spesso rinunciando ad una via di uscita, troppo angusta e poco visibile, altre volte aspettando che qualcuno porti qualche cerino, una torcia e un po’ di rabbia per mettersi in cammino e provare a credere che la violenza non deve restarle necessariamente accanto finché morte non li separi.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org